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Lombra della maledizione

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Lombra della maledizione
Название: Lombra della maledizione
Дата добавления: 16 январь 2020
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Lombra della maledizione - читать бесплатно онлайн , автор Bujold Lois Mcmaster

 Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…

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«Mi dispiace», mormorò Cazaril, sfiorandosi fronte, labbra, ventre, inguine e cuore, con le dita allargate.

«Nei rari momenti in cui non ero troppo impegnato a ubriacarmi, a vomitare o ad agire da stupido, come sono soliti fare i giovani, mi ritrovavo a riflettere sulla vicenda. Accettare la sua morte non è stato facile, e alla fine, un giorno, sono entrato in un Tempio e mi sono offerto agli Dei.» Trasse un profondo respiro. «L’Ordine del Bastardo mi ha accolto nel suo seno, ha dato una casa a chi non l’aveva, amici a chi era solo, onore a chi era disprezzato, e mi ha dato anche un lavoro. A quanto pare… ero sottoposto a un incantesimo.»

Ed era diventato un Divino del Tempio. Cazaril ebbe la certezza che Umegat stesse tralasciando alcuni dettagli, circa una quarantina d’anni di eventi, ma ritenne che non ci fosse nulla d’inesplicabile nel fatto che un uomo devoto, intelligente ed energico fosse riuscito a scalare la gerarchia interna del Tempio fino a raggiungere il rango di Divino. No, ciò che continuava a sconvolgerlo era il fatto che lui risplendesse come una luna piena riflessa su un campo innevato. «Un bel lavoro, splendido, grandioso. Fondazioni per gli orfani e… inquisizioni. Adesso però spiegami perché brilli al buio», disse, riflettendo cupamente che aveva bevuto troppo o forse non aveva bevuto ancora abbastanza.

Umegat si massaggiò il collo e giocherellò coi capelli raccolti a coda. «Capisci cosa significa essere un santo?» chiese quindi.

«Suppongo che tu sia molto virtuoso», replicò Cazaril, schiarendosi al gola con un certo disagio.

«A dire il vero, no. Non è necessario essere buoni e neppure gentili», ribatté Umegat, con una smorfia. «D’altro canto, posso concederti che, quando si sperimentano determinate cose, i gusti personali cambiano, le ambizioni materiali sembrano perdere valore, l’avidità, l’orgoglio, la vanità e l’ira appaiono cose troppo noiose per dare loro peso.»

«E la lussuria?»

«Sono lieto di affermare che il desiderio carnale non sembra essere influenzato in nessun modo», replicò Umegat, illuminandosi in volto. «O forse dovrei dire che non lo è l’amore, perché crudeltà ed egoismo rendono tedioso il desiderio carnale. Credo però che non sia tanto una crescita della virtù quanto una sostituzione dei vizi precedenti con una sorta di dipendenza dal proprio Dio.» Svuotò la coppa. «Gli Dei amano gli uomini e le donne che possiedono una grande anima proprio come un artista ama un pezzo di marmo di qualità… Il punto fondamentale non è la virtù, bensì la volontà, che è cesello e scalpello nel contempo. Qualcuno ti ha mai citato il classico sermone di Ordol, quello delle coppe?»

«Quello in cui il Divino versa l’acqua su tutto? L’ho sentito per la prima volta quando avevo dieci anni, e mi è parso divertente il punto in cui il Divino si bagna le scarpe… ma del resto ero un bambino. Temo che il Divino del nostro Tempio, a Cazaril, fosse piuttosto noioso.»

«Ascolta me, adesso, e vedrai che non ti annoierai», garantì Umegat, rovesciando la propria coppa sulla tovaglia. «La volontà degli uomini è libera, e gli Dei non possono invaderla, non più di quanto io possa versare del vino in questa coppa attraverso il suo fondo.»

«No, non sprecare il vino!» protestò Cazaril, vedendo Umegat protendere la mano verso la brocca. «È una dimostrazione cui ho già assistito.»

Sorridendo, Umegat ritrasse la mano dalla brocca. «Ma hai mai capito davvero quanto gli Dei siano impotenti, se anche il più infimo schiavo li può escludere dal proprio cuore?» domandò. «E, se vengono esclusi dal cuore, rimangono esclusi anche dal mondo, perché non possono arrivarvi se non tramite le anime dei viventi. Se gli Dei potessero farsi trasportare da chiunque andasse loro a genio, gli uomini sarebbero semplici marionette, invece ottengono un piccolo canale tramite il quale agire soltanto se e quando una creatura dotata di volontà propria mette se stessa e la propria volontà a loro disposizione, spontaneamente. Gli Dei possono inoltre filtrare attraverso la mente degli animali, sebbene con grande difficoltà. Quanto alle piante… richiedono troppa preveggenza.» Raddrizzò la coppa e prese la caraffa. «D’altro canto, capita che un uomo si apra agli Dei e permetta loro di riversarsi in lui e, per suo tramite, nel mondo. Un santo non è un’anima virtuosa, bensì un’anima vuota, giacché l’uomo — o la donna — in questione sceglie liberamente di donare la propria volontà al suo Dio e, nel rinunciare ad agire, rende possibile l’azione da parte della divinità.» Umegat riempì la sua coppa e, portandosela alle labbra, fissò Cazaril in modo inquietante. Poi bevve un lungo sorso e aggiunse: «Il tuo Divino non doveva usare l’acqua, perché non attira adeguatamente l’attenzione. Bisognava ricorrere al vino o al sangue… A un liquido che abbia valore».

«Hmm», riuscì a borbottare Cazaril.

Appoggiandosi allo schienale della sedia, Umegat indugiò a osservarlo per qualche tempo, anche se Cazaril ebbe l’impressione che non lo stesse studiando sul piano fisico. Allora, dimmi, come mai un rinnegato roknari, che è anche un Divino del Tempio, uno studioso e un santo del Bastardo, si traveste da stalliere del serraglio dello Zangre? pensò il Castillar. Ma riuscì soltanto a chiedere: «Si può sapere cosa ci fai tu qui?»

«Faccio ciò che il Dio vuole», replicò Umegat, scrollando le spalle. Poi, in apparenza colpito dall’espressione esasperata sul volto di Cazaril, precisò: «E ciò che lui vuole è tenere in vita il Roya Orico, almeno così pare».

Cazaril si raddrizzò di scatto, lottando per dissipare la nebbia che il vino gli aveva creato nel cervello. «Orico è malato?» domandò.

«Sì. È un segreto di Stato, bada bene, sebbene sia ormai diventato abbastanza evidente per chiunque abbia un po’ di cervello e lo sguardo abbastanza acuto. In ogni caso…» E si accostò un dito alle labbra.

«Io credevo che il risanamento rientrasse nei compiti della Madre e della Figlia», osservò Cazaril.

«Sì, se la malattia del Roya dipendesse da cause naturali.»

«Ha una causa innaturale?» mormorò Cazaril, socchiudendo gli occhi per mettere a fuoco le idee. «Quel mantello di oscurità… riesci a vederlo anche tu?»

«Sì.»

«Ma quell’ombra avvolge pure Teidez e Iselle… E la Royina Sara ne è contaminata a sua volta. Che cosa malvagia è mai questa?»

Posata la coppa, Umegat si tormentò ancora la coda di capelli brizzolati, esalando un profondo sospiro. «Risale al tempo di Fonsa l’Abbastanza Saggio e del Generale Dorato. Suppongo che per te questa sia soltanto storia passata, ma io ho vissuto in quei tempi disperati. Sai, una volta ho avuto modo di vedere il generale, perché all’epoca ero una spia e mi ero insinuato nel suo principato. Odiavo tutto ciò che lui rappresentava, e tuttavia… se mi avesse rivolto una parola, una sola parola, credo che l’avrei seguito strisciando sulle ginocchia. Quell’uomo non era soltanto toccato da un Dio, era un avatar incarnato, diretto a grandi passi verso il fulcro del mondo nella perfetta pienezza dei tempi… o quasi. Il momento del suo trionfo era ormai prossimo, quando Fonsa e il Bastardo lo hanno abbattuto», disse, abbassando la voce sulla scia dei ricordi. Per un momento, rimase in silenzio, assorto nelle immagini della memoria, poi si riscosse e riportò l’attenzione su Cazaril. Sorridendo, sollevò la mano col pollice rivolto verso l’alto, e lo agitò. «Per quanto sia l’elemento più debole della sua famiglia, il Bastardo è il Dio dell’equilibrio. È la capacità di opposizione che permette alla mano di serrare la presa. Si dice che se mai uno degli Dei riuscisse ad assorbire tutti gli altri, la verità diverrebbe singola, semplice e perfetta, e il mondo finirebbe in un’esplosione di luce. Certi uomini particolarmente inclini all’ordine considerano attraente quest’idea, ma io la trovo orribile… Del resto, ho sempre avuto gusti scadenti. Nel frattempo il Bastardo, unico e immutato in ogni stagione, agisce per preservarci tutti.» E batté con le altre quattro dita — la Figlia, la Madre, il Figlio e il Padre — contro il polpastrello del pollice. «Il Generale Dorato era un’onda di marea generata dal destino, che si stava preparando ad abbattersi sul mondo. L’anima di Fonsa poteva reggere il confronto con la sua, ma non poteva controbilanciare il suo immenso destino. Di conseguenza, quando il demone della morte ha portato via dal mondo le loro anime, il destino del Generale Dorato è straripato, riversando sugli eredi di Fonsa un miasma di sfortuna e di amarezza. L’ombra scura che tu vedi è il destino irrealizzato del Generale Dorato, che avvolge l’esistenza dei suoi nemici, rovinandola. Se preferisci, puoi definirla la sua maledizione di morte.»

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