Lombra della maledizione
Lombra della maledizione читать книгу онлайн
Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
Внимание! Книга может содержать контент только для совершеннолетних. Для несовершеннолетних чтение данного контента СТРОГО ЗАПРЕЩЕНО! Если в книге присутствует наличие пропаганды ЛГБТ и другого, запрещенного контента - просьба написать на почту [email protected] для удаления материала
Due cortigiani si fecero avanti per pronunciare un sentito e sincero elogio funebre per Dondo, anche se Cazaril non riconobbe nelle loro parole l’effettivo carattere del defunto né la descrizione del suo stile di vita. Il Cancelliere dy Jironal sembrava troppo sopraffatto dall’emozione per parlare a lungo, sebbene fosse difficile stabilire se il suo stato d’animo dominante fosse il dolore o l’ira. Si limitò ad annunciare una ricompensa di mille reali d’oro per chi avesse fornito informazioni atte a identificare l’assassino del fratello. E quello fu l’unico riferimento a ciò che aveva causato l’improvvisa dipartita di Dondo.
Un’altra cifra non indifferente era stata di certo deposta sull’altare del Tempio. Poi tutti i Devoti, gli Accoliti e i Divini di Cardegoss presero a cantare le preghiere con tale slancio da far supporre che il semplice volume di quel coro potesse garantire al defunto una maggiore santità. Uno dei cantori, che faceva parte del gruppo dei contralto, attirò l’attenzione dell’occhio interiore di Cazaril. Si trattava di una donna di mezz’età dall’aria triste, abbigliata con una veste verde, che pareva risplendere come una candela osservata attraverso un vetro color smeraldo. Mentre cantava, la donna guardò a sua volta Cazaril, ma si affrettò subito a riportare gli occhi sul Divino incaricato di dirigere il coro.
«Conoscete quell’Accolita in coda alla seconda fila dei cantori della Madre?» sussurrò Cazaril a Nan.
«È una delle levatrici al servizio della Madre», rispose la dama, dopo aver guardato nella direzione indicata. «Ho sentito dire che è molto brava.»
«Capisco.»
Giunse poi il momento della scelta da parte degli animali sacri. La folla si fece attenta, giacché non era assolutamente chiaro o prevedibile quale Dio avrebbe preso con sé l’anima di Dondo dy Jironal. Il suo predecessore nella carica di generale della Figlia, pur essendo padre e nonno, era stato immediatamente reclamato dalla Signora della Primavera, che lui aveva servito a lungo, fino alla morte. Dondo, dal canto suo, in gioventù aveva prestato servizio nell’Ordine militare del Figlio, spargendo in giro più di un bastardo. Dalla defunta moglie aveva anche avuto due figlie, che lui disprezzava e che aveva affidato ad alcuni parenti di campagna perché le allevassero. Ma il pensiero di tutti i presenti era un altro: se l’anima di Dondo era stata portata via dal demone della morte del Bastardo, allora adesso si trovava nelle mani di quel Dio, quindi era possibile che esso decidesse di appropriarsene.
In risposta a un gesto dell’Arcidivino Mendenal, l’Accolita cui era affidata la ghiandaia della Figlia si fece avanti e sollevò il polso, ma la ghiandaia oscillò su di esso senza abbandonare la presa sulla manica. L’Accolita guardò allora l’Arcidivino, che si accigliò, accennando impercettibilmente con la testa al feretro. Allora l’Accolita, pur riluttante, avanzò e chiuse entrambe le mani intorno alla ghiandaia, deponendola con decisione sul petto del cadavere.
Nel momento stesso in cui ritrasse le mani, la ghiandaia sollevò la coda, scaricò una chiazza di guano e spiccò il volo, trascinandosi dietro i lacci di seta ricamata e lanciando strida acute. Almeno tre uomini accanto a Cazaril emisero suoni soffocati, ma l’espressione furente del Cancelliere dy Jironal fu sufficiente a trattenere chiunque dallo scoppiare a ridere. Accanto al Cancelliere, Iselle abbassò gli occhi azzurri, che ardevano come fuochi cerulei, e la sua aura si fece ancor più ribollente, mentre l’Accolita indietreggiava e piegava indietro il capo per seguire con ansia il volo della ghiandaia, che infine si appollaiò sulla sommità di una delle elaborate colonne di porfido che circondavano il cortile, continuando a stridere. L’Accolita scoccò quindi un’occhiata all’Arcidivino, che si affrettò a congedarla con un cenno. Con un inchino, la donna si diresse verso la colonna e cercò di convincere la ghiandaia a tornare sul suo polso.
Anche l’uccello verde, sacro alla Madre, rifiutò di lasciare il braccio dell’Accolita cui era affidato. Stavolta, tuttavia, l’Arcidivino Mendenal si limitò a segnalare con un cenno del capo all’Accolita di tornare al proprio posto.
L’Accolita del Figlio si servì del guinzaglio di rame per trascinare la volpe fino alla cassa, ma l’animale prese a uggiolare e a mordere, cercando di far presa sul pavimento coi suoi artigli neri. All’Arcidivino non rimase altro che indicare all’Accolita di tirarsi indietro.
Seduto sulle zampe posteriori, con la lunga lingua rosea che pendeva dalle fauci socchiuse, il robusto lupo grigio emise un cupo ringhio quando la sua custode dalle vesti grigie accennò a sollevare il guinzaglio d’argento. Tuttavia, mentre quel suono sordo echeggiava ancora nel cortile di pietra, il lupo si adagiò sul ventre e protese le zampe davanti a sé. Accanto a lui, l’Accolita riabbassò con cautela le mani e s’immobilizzò, rivolgendo all’Arcidivino uno sguardo in cui si leggeva la sua determinazione a non insistere. E Mendenal accettò quella resa.
Lo sguardo di tutti, carico di aspettativa, si appuntò allora sulla figura vestita di bianco dell’Accolita del Bastardo, che aveva con sé i suoi ratti candidi. Il Cancelliere dy Jironal, accanto al feretro, aveva le labbra serrate e quasi bianche a causa della furia impotente che lo divorava. Tratto un profondo respiro, l’Accolita avanzò verso il cadavere e depose le sue creature sacre sul petto di Dondo, indicando così che il Dio accettava quell’anima scartata dalle altre divinità.
Nel momento in cui le sue mani abbandonarono la presa sui bianchi corpi setosi, però, entrambi i ratti saettarono lontano dal feretro, in direzioni opposte, così rapidi da sembrare scagliati da una catapulta. Colta alla sprovvista, l’Accolita oscillò, come se non riuscisse a decidere quale delle sacre bestiole a lei affidate inseguire per prima, e sollevò le mani in un gesto di disperazione. Nel frattempo, uno dei ratti si diresse verso il rifugio sicuro offerto dalle colonne, e l’altro si allontanò in mezzo alla folla, che si agitò al suo passaggio, accompagnato dagli strilli nervosi di un paio di donne e da uno sgomento mormorio d’incredulità che si diffuse tra i cortigiani e le dame, mutandosi ben presto in un coro di sconvolti sussurri.
Betriz si avvicinò a Cazaril per sussurrargli all’orecchio: «Ma cosa significa tutto questo? Il Bastardo prende sempre gli scarti degli altri Dei, sempre. È il suo… lavoro, e non può rifiutare di accogliere un’anima respinta… Anche se credevo che se ne fosse già impossessato».
«Se nessun Dio ha preso con sé l’anima di Lord Dondo… allora essa è ancora nel mondo», rispose Cazaril, altrettanto sgomento. «Se l’anima non è là, allora dev’essere qui, da qualche parte…» Uno spettro inquieto, uno spirito senza riposo, reciso e dannato.
La cerimonia s’interruppe, e l’Arcidivino e il Cancelliere dy Jironal si appartarono dietro il focolare per conferire a bassa voce, anche se di tanto in tanto il loro tono di voce si alzava, attizzando la curiosità della folla in attesa. Facendo capolino da dietro il focolare, l’Arcidivino chiamò poi a sé un giovane Accolita del Bastardo che, dopo aver scambiato con lui poche, sommesse parole, si allontanò di corsa.
Mentre il cielo grigio si scuriva sempre di più, un Divino di rango inferiore, di sua iniziativa, guidò i cantori in un inno non previsto, inteso a riempire quella pausa forzata. Sulle ultime note di quel canto, dy Jironal e Mendenal tornarono a unirsi agli altri, ma l’attesa si protrasse, inducendo il coro ad avviare un altro inno.
Cazaril si sorprese a desiderare di aver utilizzato l’opera di Ordol, Il quintuplice sentiero dell’anima, in maniera più proficua che come semplice paravento per i propri sonnellini e si rammaricò di aver lasciato quel testo a Valenda, perché di colpo si sentiva assillato da una quantità d’interrogativi. Dov’era finita l’anima di Dondo, se il suo spirito non era stato riportato dal demone al suo padrone? Dov’era l’anima recisa dell’ignoto assassino di Dondo, se davvero il demone poteva tornare indietro soltanto col suo doppio bagaglio di anime? E che fine aveva fatto il demone stesso? La teologia non l’aveva mai interessato granché: gli era sempre sembrato un soggetto dagli scarsi risvolti pratici, adatto ai sognatori, a quelli che vivevano fuori del mondo… Adesso, però, si pentiva di non averlo approfondito.