Lombra della maledizione
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Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
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«Il Royse Bergon», suggerì Cazaril.
«Già», annuì Maroc. «Il Royse è molto giovane, e la Volpe potrebbe morire da un momento all’altro, lasciando sul trono un ragazzo inesperto.»
«Non lo riterrei poi così inesperto», obiettò Cazaril. «Ha assistito a un assedio e alla fine di un altro, viaggiando al seguito della sua defunta madre ed è sopravvissuto a una guerra civile. Inoltre, è logico pensare che un figlio della Volpe non sia stupido.»
«Il suo primogenito lo era», dichiarò dy Rinal, con convinzione. «Basta vedere lo scompiglio in cui ha lasciato i suoi sostenitori.»
«Non potete accusarlo di mancanza d’intelligenza per essere morto di febbre», protestò Cazaril.
«Supponendo che si sia trattato davvero di una febbre», ribatté dy Rinal.
«Pensate che la Volpe abbia avvelenato suo figlio?» esclamò dy Maroc.
«Penso che lo abbiano fatto i suoi agenti.»
«In tal caso, avrebbe potuto pensarci prima e risparmiare a Ibra una quantità di sofferenze…»
Con un sorriso forzato, Cazaril si alzò da tavola e lasciò dy Rinal e dy Maroc a elaborare le loro congetture. Ormai i postumi della sbornia erano completamente passati e, dopo la cena, lui si sentiva meglio, ma era anche oppresso da una stanchezza cui non era abituato. Tuttavia, giacché la Royesse non lo aveva convocato, decise di tornare a letto.
Spossato oltre ogni dire, si addormentò subito, ma verso mezzanotte si svegliò di soprassalto nel sentire le urla di un uomo che echeggiavano nella sua mente: grida, pianti, rochi ululati di rabbia… Un insieme di suoni che lo indusse a sollevarsi a sedere di scatto, col cuore che gli martellava nel petto. Cercò d’individuare la provenienza di quella voce… A giudicare dal tono fievole e strano, era possibile che giungesse dal burrone sottostante il castello o dal fiume che scorreva sotto la sua finestra. Ma allora perché nessuno reagiva, perché non si sentivano passi o richiami di guardie mandate a indagare? Impiegò qualche istante per rendersi conto che quegli ululati non erano reali, non più dei pallidi spettri che aleggiavano intorno al suo letto. Infine riconobbe quella voce urlante.
Riadagiatosi nel letto, ansimante e raggomitolato su se stesso, sopportò quel fragore per altri dieci minuti, chiedendosi se l’anima dannata di Dondo si stesse preparando a liberarsi dal miracolo intessuto dalla Signora e a trascinarlo con sé all’inferno. Era ormai sul punto di lasciare il letto e di precipitarsi al serraglio, in camicia da notte, per svegliare Umegat e chiedergli aiuto — sempre che Umegat potesse fare qualcosa per lui — quando le urla cessarono.
D’un tratto rammentò che la morte di Dondo era avvenuta più o meno a quell’ora e si domandò se, per caso, in quel momento, il suo spirito non acquisisse poteri particolari; quanto alla notte precedente, non era in grado di determinare se si fosse verificato un fenomeno del genere. Era così ubriaco che, nella sua mente, si era avvicendata una caotica successione di incubi. Potrebbe andare peggio di così, si disse infine, quando il suo cuore rallentò il suo battito frenetico. Già, la voce di Dondo avrebbe potuto articolare parole compiute… L’idea dello spettro di Dondo che di notte acquistava la capacità di parlargli, per inveire o per avanzare immondi suggerimenti, minò alla base il suo coraggio, e lui scoppiò in pianto, atterrito e scosso da quelle semplici supposizioni. Confida nella Signora. Confida nella Signora, si ripeté, sussurrando preghiere incoerenti, e lentamente ritrovò il controllo. Se mi ha portato fin qui, senza dubbio non mi abbandonerà proprio adesso, pensò.
Subito dopo, però, proprio mentre ripeteva il sermone spiegatogli da Umegat, fu assalito da un nuovo, orribile pensiero: se la Dea poteva entrare nel mondo soltanto a patto che lui rinunciasse alla propria volontà a suo beneficio, era possibile che il suo disperato desiderio di vivere — un atto di volontà quanto mai preciso — fosse sufficiente a escludere sia lei sia il suo miracolo? In tal caso, l’involucro protettivo creato dalla Dea poteva dissolversi, liberando un paradosso di morte e di dannazione…
Il tentativo di districare quel circolo vizioso di logica teologica fu sufficiente a tenerlo sveglio per ore, mentre la notte volgeva lentamente al termine. Un vago grigiore trapelava dalla finestra della sua stanza quando lui riuscì infine a scivolare di nuovo nel benefico oblio del sonno.
Fu soltanto a tarda ora che, l’indomani mattina, Cazaril, fiancheggiato dalla sua scorta spettrale, salì le scale per raggiungere l’anticamera che gli faceva da studio. La mancanza di sonno lo faceva sentire stordito e stanco, e lo induceva a guardare con scarso entusiasmo alla prospettiva del lavoro di una settimana — lettere e note di contabilità — che si era accumulato sulla sua scrivania dal momento dell’annuncio del fidanzamento di Iselle.
Al suo arrivo, trovò le dame già sveglie e in piena attività. Nel salotto, che si apriva al di là dell’anticamera, tutte le nuove, eccellenti mappe che lui si era procurato per le lezioni di geografia erano sparse su un tavolo, e Iselle era protesa in avanti, intenta a studiarle, mentre Betriz guardava da sopra la sua spalla con aria accigliata, le braccia conserte sul petto. Entrambe le giovani dame, come pure Nan dy Vrit, seduta a cucire in disparte, erano vestite in nero e lavanda, in stretta osservanza del lutto imposto alla corte, una prudente dissimulazione che Cazaril non mancò di approvare.
Al suo ingresso, Cazaril notò, accanto alla mano di Iselle, alcuni fogli sparsi su cui erano scribacchiati vari elenchi, con voci cancellate o cerchiate o spuntate. Accigliandosi, Iselle indicò un punto della mappa che era stato contrassegnato con uno spillone per cappelli. «Ma questo non è meglio di…» cominciò a dire, da sopra la spalla, rivolta a Betriz, interrompendosi però di colpo nel vedere Cazaril.
Il cupo, invisibile mantello di oscurità le aderiva ancora alla persona, solcato soltanto a tratti da qualche fioco bagliore azzurro. Di fronte a esso, le masse spettrali che scortavano Cazaril si ritrassero di scatto, scomparendo alla sua seconda vista e sollevandolo almeno in parte delle sue angosce.
«State bene, Lord Caz?» domandò Iselle, scrutandolo con aria preoccupata. «Non avete un bell’aspetto.»
«Chiedo scusa per la mia assenza di ieri, Royesse», replicò Cazaril, salutandola con un inchino. «Sono stato costretto a letto da… da una colica. Adesso però è passato quasi tutto.»
Seduta nel suo angolo, Nan dy Vrit sollevò lo sguardo dal cucito per fissarlo con aria ostile. «La cameriera sostiene che siete stato male per aver bevuto e gozzovigliato con gli stallieri», commentò. «Ha detto che siete rientrato dal funerale di Lord Dondo in uno stato di ubriachezza tale da non riuscire quasi a reggervi in piedi.»
«Sì, ho bevuto, ma non ho gozzovigliato, mia signora, ed è una cosa che non si ripeterà», ammise Cazaril, consapevole dell’aria contrariata di Betriz. «In ogni caso, bere non mi è stato d’aiuto…»
«È uno scandalo per la Royesse, il fatto che il suo segretario sia stato visto così ubriaco da…»
«Smettetela, Nan», intervenne Iselle. «Lasciate perdere.»
«Cosa significa tutto questo, Royesse?» chiese Cazaril, indicando la mappa tempestata di spilloni.
«Ci ho pensato a lungo, per giorni interi», rispose lei, traendo un profondo respiro. «Finché rimarrò nubile, continuerò a trovarmi al centro di una miriade di complotti. Senza dubbio, dy Jironal tirerà fuori al più presto un altro candidato per vincolare me e Teidez al suo clan, e le altre fazioni… Ormai è risaputo che Orico sarebbe disposto a darmi in moglie a un nobile di rango minore, dunque ogni nobile di Chalion, quale che sia il suo rango, lo assillerà per sposarmi. La mia sola difesa, il mio unico rifugio, sta nell’avere già un marito che non sia nobile di basso rango.»