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City

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City
Название: City
Автор: Simak Clifford D.
Дата добавления: 16 январь 2020
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City - читать бесплатно онлайн , автор Simak Clifford D.

Questo libro narra la storia dell’Uomo e del suo pianeta, la Terra, attraverso i secoli futuri, in una progressione abbagliante di visioni. indimenticabili e poetiche; ? l’opera che moltissimi considerano il momento pi? intensamente poetico di tutta la storia della fantascienza. Con la sua quieta, serena filosofia, con la sua magica capacita di evocare situazioni e paesaggi allo stesso tempo grandiosi e a perfetta,’ misura umana, Simak ci descrive dapprima il graduale abbandono delle citta, per una pi? serena vita nelle campagne; e poi ci accompagna nella descrizione della lenta espansione verso gli spazi cosmici, ci mostra la comparsa dei Mutanti, enigmatici figli della razza umana che di umano conservano solo una spietata, folle ironia, ci descrive il lento passaggio dell’eredita umana ai Cani, fedeli compagni dell’Uomo per millenni, ci parla dei robot che l’uomo ha creato a propria: immagine, e degli alieni che popolano i suoi sogni cosmici. E, attraverso la rivelazione di un nuovo e totalmente inaspettato piano di, esistenza su Giove, il gigantesco pianeta che sar? il nuovo Paradiso… o il nuovo Nirvana?… per tutto il genere umano, Simak si proietta nel buio dei millenni, quando l’intera razza umana sar? ricordata con il nome di una sola famiglia, i Webster, e l’antica casa sulla collina sar? un tempio e un memoriale lentamente dimenticato. E su tutto questo grandioso affresco di figure indimenticabili, gigantesca, si staglia la figura del pi? grande personaggio creato da uno scrittore di fantascienza: Jenkins, il robot antico, che nei suoi circuiti elettronici si aggrappa disperatamente al ricordo dell’umanit? desiderata e perduta.

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Perché non ha importanza il nome di chi è venuto per primo… il webster o il cane. Questa è la nostra casa. È la nostra casa, come è la casa delle formiche.

E noi dobbiamo fermare le formiche.

Deve esserci un modo di fermarle. Un modo di parlare con loro, di scoprire quello che vogliono. Un modo di ragionare con loro. Una base per negoziare. Deve esistere un accordo che possiamo raggiungere.

Homer giacque immobile sulla pietra, davanti al fuoco, e ascoltò i mormoni sommessi che percorrevano la casa, ascoltò i passi soffocati e leggeri dei robot intenti alle loro faccende, ascoltò il chiacchierio sommesso dei Cani che si trovavano in un’altra stanza, al piano di sopra, ascoltò il crepitio delle fiamme che rodevano lente i ceppi ardenti.

Una buona vita, disse Homer, parlottando tra sé. Una buona vita, e pensavamo di essere stati noi a crearcela, da soli. Ma ora Andrew dice che non siamo stati noi. Ora Andrew dice che noi non abbiamo aggiunto uno iota al talento meccanico e alla logica meccanica che costituivano la nostra eredità… e che anzi abbiamo perduto molto. Lui mi ha parlato della chimica e ha cercato di spiegarmi i concetti, ma io non ho potuto capire. Lo studio degli elementi, mi ha detto, e ha parlato di cose che si chiamano atomi e molecole… E poi c’era anche l’elettronica, mi ha detto Andrew. Ma poi ha aggiunto che noi sappiamo fare certe cose, senza l’aiuto dell’elettronica, in maniera più prodigiosa di quanto avrebbe saputo fare l’uomo con tutta la sua scienza. Potresti studiare l’elettronica per un milione di anni, mi ha detto, senza mai raggiungere gli altri mondi, senza neppure sospettare la loro esistenza… e noi, invece, ci siamo riusciti, abbiamo fatto una cosa che un webster non avrebbe potuto fare.

Perché noi pensiamo in maniera diversa dai webster. No, si chiamano uomini, non webster.

E i nostri robot. I nostri robot non sono migliori di quelli che l’uomo ci ha lasciato. Una piccola modifica qua e là… una modifica ovvia, ma nessun reale perfezionamento.

Chi avrebbe mai potuto pensare, e neppure pensare, soltanto sognare, che possa esistere un robot migliore?

Una pannocchia di granoturco migliore, questo sì. O un albero migliore. O un metodo migliore per preparare il lievito che sostituisce la carne.

Ma un robot migliore… bene, un robot fa tutto quello che si desidera da lui. Perché dovrebbe essere migliore?

Eppure… i robot ricevono una chiamata e vanno a lavorare nella Costruzione, vanno a costruire una cosa che ci scaccerà dalla terra.

Non riusciamo a capire. È naturale che non possiamo capire. Se conoscessimo meglio i nostri robot, potremmo capire. E, una volta compreso il motivo di ciò che accade, potremmo cambiare i robot, in modo che essi non ricevano la chiamata o, se la ricevono, non le prestino attenzione.

E questa, naturalmente, sarebbe la risposta. Se i robot non lavorassero, non ci sarebbe la Costruzione. Perché le formiche, senza l’aiuto dei robot, non potrebbero continuare a costruire.

Una pulce si mise a correre sulla testa di Homer, e Homer agitò un orecchio.

Andrew, però, potrebbe sbagliarsi, si disse Homer. Noi abbiamo le nostre leggende sulla nascita delle Fratellanza degli Animali, e i robot hanno le loro leggende sulla caduta dell’uomo. Dopo tanto tempo, chi ci può dire, ormai, quale dei due abbia ragione, cane o robot?

Ma la storia di Andrew ha un senso compiuto. C’erano dei Cani e c’erano dei robot e quando l’Uomo conobbe il momento della caduta i Cani e i robot si divisero, seguendo ciascuno la propria strada… anche se noi tenemmo alcuni robot, perché ci servissero come mani. Alcuni robot rimasero con noi, ma nessun Cane rimase con i robot.

Una mosca d’autunno uscì da un angolo, ronzando, stordita e confusa dalla luce del fuoco. Una delle ultime mosche dell’estate, pensò Homer, che è riuscita a vivere fino ai primi freddi, e che ora vola incerta, senza accettare la fine che l’aspetta. La mosca si mise a ronzare intorno al muso di Homer, e si posò sul naso del cane. Homer la fissò con aria minacciosa, e la mosca sollevò le zampette e, insolentemente, si pulì le ali. Homer agitò una zampa, e la mosca volò via.

Qualcuno bussò alla porta.

Homer alzò il capo, sorpreso.

«Avanti,» disse, ancora perduto nei suoi pensieri.

Era il robot, Hezekiah.

«Hanno preso Archie,» disse Hezekiah.

«Archie?»

«Archie, il procione.»

«Oh, sì,» disse Homer. «Quello che è scappato.»

«È qui fuori, adesso,» disse Hezekiah. «Lo vuoi vedere?»

«Fallo entrare,» disse Homer.

Hezekiah fece un segno col dito e Archie entrò lentamente dalla porta. Aveva il pelo macchiato e arruffato, e la coda gli pendeva inerte. Dietro di lui torreggiavano due robot guardiani.

«Ha cercato di rubare del granoturco,» disse uno dei guardiani, «E noi l’abbiamo scoperto, ma ci ha fatto correre, oh, se ci ha fatto correre!»

Homer si alzò maestosamente, e fissò Archie. Archie sostenne il suo sguardo, fissandolo negli occhi.

«Non mi avrebbero preso mai,» disse Archie, «Se avessi avuto ancora Rufus. Rufus era il mio robot e mi avrebbe avvertito.»

«E dov’è adesso Rufus?»

«Oggi ha ricevuto la Chiamata,» disse Archie. «E mi ha lasciato per andare alla Costruzione.»

«Dimmi,» fece Homer. «È successo qualcosa a Rufus, prima che se ne andasse? Qualcosa di insolito? Qualcosa fuori dell’ordinario?»

«Niente,» rispose Archie. «A parte il fatto che era caduto in un formicaio. Era un robot maldestro. Non faceva altro che inciampare in tutti gli ostacoli… era sempre per terra, o era sempre impigliato da qualche parte. Non era coordinato come avrebbe dovuto essere. Aveva un bullone allentato da qualche parte, dentro.»

Una cosa minuscola e nera saltò dal naso di Archie, e si mise a correre sul pavimento. Archie mosse la zampa con la velocità del lampo, e raccolse la creaturina.

«Farai bene a scostarti,» disse Hezekiah. «È addirittura grondante di pulci.»

«Non è una pulce,» disse Archie, ansimando di collera. «È un’altra cosa. L’ho presa nel pomeriggio. Fa tic-tic e sembra una formica, ma non è una formica.»

La cosa che faceva tic-tic sfuggì dalle unghie del procione e cadde sul pavimento. Cadde male, si rimise eretta, e ricominciò a correre. Archie cercò di prenderla con la zampa, ma la cosa gli sfuggì, correndo a zig-zag sul pavimento. Come un lampo, raggiunse Hezekiah e si arrampicò sulla gamba del robot.

Homer balzò sulle quattro zampe, e improvvisamente, subitaneamente, un lampo di comprensione gli attraversò la mente.

«Presto!» gridò. «Prendila! Fermala! Non lasciarle…»

Ma la cosa era sparita.

Lentamente Homer tornò a sedersi. La sua voce era calma, ora, di una calma quasi mortale.

«Guardiani,» disse. «Prendete in custodia Hezekiah. Non lasciatelo un momento, non permettetegli di muoversi. Riferitemi ogni suo gesto e ogni sua azione immediatamente.»

Hezekiah indietreggiò.

«Ma io non ho fatto niente!»

«No,» disse Homer, quasi con dolcezza. «No, non ancora. Ma lo farai. Riceverai la Chiamata e cercherai di abbandonarci per andare alla Costruzione. E prima di lasciarti andare, scopriremo per quale motivo lo farai. Cos’è che ti costringe e in quale modo agisce.»

Homer si voltò, con il muso raggrinzito da un sorriso canino.

«E adesso, Archie…» disse.

Ma Archie non c’era più.

C’era una finestra aperta. E Archie non c’era più.

Homer si agitò sul letto di fieno, riottoso, perché non voleva svegliarsi. Un ringhio soffocato gli saliva dalla gola.

Sto invecchiando, pensò. Troppi anni sono sopra di me, come gli anni che schiacciano le colline. C’è stato un tempo in cui sarei balzato dal letto al primo mormorio, al primo rumore udito alla porta, con il pelo sporco di fieno, e avrei abbaiato con tutte le mie forze per avvertire i robot.

Si udì bussare di nuovo e Homer, barcollando, si alzò.

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