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Lombra della maledizione

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Lombra della maledizione
Название: Lombra della maledizione
Дата добавления: 16 январь 2020
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Lombra della maledizione - читать бесплатно онлайн , автор Bujold Lois Mcmaster

 Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…

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Cazaril richiuse il sacco e lo ripose nel baule, per impedire la fuga del «prigioniero», poi si tolse la tenuta da cortigiano e, come buon augurio, si mise la veste marrone e la sopravveste nera che il mercante di lana aveva indossato al momento della morte. Indugiò per qualche istante a chiedersi se, per affrontare la scalata delle pietre e delle tegole bagnate di pioggia, fosse meglio usare gli stivali, le scarpe o restare scalzo e, alla fine, optò per quest’ultima strada. Prima d’iniziare la sua impresa, però, s’infilò le scarpe per fare un’ultima visita.

«Betriz?» chiamò qualche minuto più tardi, fermandosi davanti alla porta dell’anticamera. «Lady Betriz? So che è tardi… Ma potete venire fuori per parlare con me?»

Ancora completamente vestita, pallida ed esausta, Betriz oltrepassò la soglia e gli permise di stringerle le mani, arrivando ad appoggiargli per un momento la fronte contro il petto; per un vertiginoso istante, il profumo dei suoi capelli riportò Cazaril al secondo giorno che aveva trascorso a Valenda, quando si era trovato accanto a lei, in mezzo alla calca che affollava il Tempio. L’unica cosa rimasta immutata, da quel giorno sereno, era la sua lealtà.

«Come sta la Royesse?» le chiese.

«Continua a pregare la Figlia senza un attimo di sosta», rispose Betriz, sollevando lo sguardo su di lui alla tenue luce delle candele. «Non ha mangiato né bevuto da ieri. Non so dove siano gli Dei, o perché ci abbiano abbandonati…»

«Oggi non ho potuto uccidere Dondo. Avvicinarlo mi è stato impossibile», confessò Cazaril.

«L’avevo immaginato… Altrimenti avremmo sentito qualcosa al riguardo.»

«Mi rimane ancora una cosa da tentare. Se non dovesse funzionare… Be’, in tal caso, tornerò domattina, e vedremo cosa si potrà fare col vostro coltello. Volevo soltanto che voi sapeste… Ecco, se domattina non dovessi tornare, sappiate che comunque starò bene. Non vi preoccupate per me e non mi cercate.»

«Non ci state abbandonando, vero?» esclamò Betriz, stringendogli spasmodicamente le mani.

«No, mai.»

«Non capisco», mormorò lei, sbattendo le palpebre, stupita.

«Non importa. Abbiate cura di Iselle, e non vi fidate mai, per nessun motivo, del Cancelliere dy Jironal.»

«Non c’è bisogno che me lo diciate!»

«Ancora una cosa. Il mio amico Palli, il March dy Palliar, conosce la verità: sa che, dopo Gotorget, io sono stato tradito… E sa anche come Dondo e io siamo diventati nemici… Adesso non ha più importanza, ma è bene che Iselle sappia che il fratello maggiore di Dondo ha deliberatamente escluso il mio nome dall’elenco degli uomini da riscattare, condannandomi alla schiavitù sulle galee e alla morte. Non ci sono dubbi al riguardo, perché ho visto l’elenco, stilato di suo pugno. Conoscevo fin troppo bene la sua calligrafia, per aver letto più volte i suoi ordini militari.»

«Non si può fare nulla al riguardo?» chiese Betriz.

«Ne dubito. Se si potesse dimostrarlo, una buona metà dei nobili di Chalion rifiuterebbe di cavalcare in futuro sotto la sua bandiera, e forse ciò sarebbe sufficiente a farlo cadere in disgrazia… o forse no. Questa è una freccia che Iselle deve tenere nella sua faretra, perché un giorno potrebbe tornarle utile.» Indugiò per un lungo momento a fissare il volto di lei, sollevato verso il suo, con la pelle d’avorio, le labbra di corallo e i profondi occhi d’ebano, che apparivano enormi nella penombra, poi si chinò con fare impacciato, e la baciò.

Per un attimo, Betriz smise di respirare, poi scoppiò in una risata stupita e si portò una mano alla bocca.

«Scusatemi… La vostra barba punge», disse.

«Io… perdonatemi. Palli sarebbe per voi un marito quanto mai onorevole, se voleste prenderlo in considerazione. Inoltre è sincero proprio come voi. Potete riferirglielo da parte mia.»

«Cazaril, cosa state…»

«Betriz?» chiamò in quel momento Nan dy Vrit, dalle camere della Royesse. «Puoi venire qui, per favore?»

Per Cazaril era giunto il momento di separarsi da tutto, anche dal rimpianto. Le baciò ancora una volta le mani e si allontanò in fretta.

L’arrampicata notturna sui tetti dello Zangre, dal corpo principale del palazzo fino alla Torre di Fonsa, fu difficoltosa proprio come Cazaril aveva anticipato. Stava ancora piovendo, la luna brillava a tratti fra le nuvole, ma la sua luce cupa e intermittente non era molto utile. A peggiorare le cose, le superfici su cui si muoveva, a piedi nudi, erano dolorosamente ruvide o spaventosamente scivolose, oltre a essere tanto gelide da eliminare ogni sensibilità. La parte peggiore fu il piccolo salto finale di circa due iarde fino alla sommità della torre rotonda; per fortuna, tuttavia, il balzo risultò inclinato verso il basso, evitando in tal modo a Cazaril di schiantarsi sull’acciottolato sottostante.

Stringendo il sacco col ratto, che continuava a dibattersi, e respirando a fatica, ancora tremante per il salto, Cazaril si accovacciò sul tetto, contro una fila di tegole viscide di pioggia. Però, temendo che una si staccasse, cadendo nel cortile e attirando l’attenzione di una guardia, dopo qualche istante il Castillar prese a spostarsi lungo il contorno della torre. Raggiunse così lo squarcio nel tetto e lì si sedette, lasciando penzolare le gambe all’interno e tastando coi piedi alla ricerca di una superficie solida. Non trovandola, attese che la luna uscisse da dietro le nubi, fornendo un po’ di luce, ma cominciò anche a dubitare del fatto che, sotto i suoi piedi, ci fosse un pavimento o anche solo un tratto di ringhiera. Davanti a lui, nel buio, un corvo gracchiò sommessamente.

Cazaril trascorse almeno dieci minuti in quella posizione precaria, mentre, con mani tremanti, cercava di accendere il mozzicone di candela che si era portato appresso, lavorando al tatto con accendino ed esca posati in grembo. Com’era prevedibile, finì per scottarsi, ma riuscì anche a ottenere una piccola fiamma, grazie alla quale vide che, più sotto, c’erano in effetti una ringhiera e un tratto di rozzo pavimento. Sembrava che, dopo l’incendio, per evitare un crollo rovinoso, qualcuno avesse costruito all’interno della torre una piattaforma di travi massicce. Trattenendo il respiro per la tensione, Cazaril saltò atterrando su quella superficie di dimensioni assai ridotte, ma piuttosto solida. Poi infilò la candela in una fessura tra due travi e ne accese una seconda, accostandola alla sua fiamma. Infine estrasse il pane e il sottile pugnale tolto a Betriz.

Prendere un corvo… Mentre era nella sua camera, la cosa gli era sembrata abbastanza semplice, ma adesso, in quel rudere avvolto da ombre tremolanti, non riusciva neppure a vedere quei dannati uccelli.

Accanto alla sua testa ci fu un improvviso sbattere d’ali e un corvo andò a posarsi sulla ringhiera. Tremando di spavento, Cazaril protese un pezzetto di pane e, quando il corvo glielo strappò di mano, per poi spiccare nuovamente il volo, si concesse una sonora imprecazione. Quindi trasse alcuni profondi respiri e si costrinse a procedere con ordine. Aveva il pane, il coltello, le candele, il sacco col ratto… ed era anche in ginocchio. Ma poteva dire di avere il cuore sereno? Certamente no.

Aiutami, aiutami, aiutami, pregò.

Il corvo, o un suo gemello, tornò verso di lui, stridendo: «Caz, Caz!» in tono non troppo alto. Quel richiamo, tuttavia, riecheggiò potente nella torre in rovina.

«D’accordo», sbuffò Cazaril. «Così va bene.» Estratto il ratto dal sacco, gli appoggiò il coltello contro la gola. «Corri dal tuo signore con la mia preghiera», sussurrò, sgozzando l’animale con un gesto rapido e preciso. Il fiotto di sangue, caldo e scuro, gli bagnò la mano. Lui posò il piccolo cadavere accanto alle ginocchia e protese il braccio verso il corvo. Come se obbedisse a un ordine, il volatile saltò su di esso e si chinò a lambire il sangue sulla mano di Cazaril, protendendo di scatto la lingua nera. Quel gesto colse così di sorpresa il Castillar da strappargli un violento sussulto. Allora, per evitare che il corvo volasse via, Cazaril bloccò l’uccello sotto il braccio e lo baciò sulla testa. «Perdonami, perché il mio bisogno è grande», disse. «Forse il Bastardo ti nutrirà col pane degli Dei e potrai posarti sulla sua spalla, quando lo raggiungerai. Vola dal tuo signore con la mia preghiera.»

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