Lombra della maledizione
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Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
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«Non so se quell’ibrano abbia mentito», interloquì dy Maroc. «So soltanto quello che mi ha detto.»
«Sì, sì», annuì Orico, accantonando quelle giustificazioni con un cenno impaziente. «Credo che il mio piano sia il migliore.» Poi sbuffò, si sfregò il naso con la manica e si dispose ad attendere, mentre sulla stanza calava un silenzio pieno di tensione.
Fu il paggio, di ritorno nella sala, a romperlo. «Umegat, sire», annunciò il ragazzo.
L’azzimato e vivace stalliere roknari entrò nella stanza e, nel vedere quel gruppetto, assunse un’aria vagamente sorpresa. Tuttavia continuò ad avanzare senza indugi e si fermò davanti, al suo padrone con un profondo inchino. «Come posso servirvi, mio signore?» domandò.
«Umegat… Voglio che tu vada fuori e che catturi il primo corvo sacro che vedrai, portandolo qui», rispose Orico. Poi si rivolse al paggio. «Tu! Va’ con lui per fare da testimone. Avanti, spicciatevi», concluse, battendo le mani.
Senza manifestare la minima sorpresa o porre domande di sorta, Umegat s’inchinò di nuovo e uscì; contemporaneamente, Cazaril sorprese dy Maroc nell’atto di scoccare a dy Jironal una supplichevole occhiata in cui sembrava chiedere direttive… Un’occhiata che il Cancelliere non notò.
«Dunque, come possiamo organizzare la cosa?» borbottò Orico. «Sì, ci sono… Cazaril, voi vi metterete su un lato della stanza, e dy Maroc si metterà sul lato opposto.»
Dopo una rapida — e approssimativa — valutazione delle probabilità, dy Jironal, con un impercettibile cenno del capo, indicò a dy Maroc l’estremità della stanza dove c’era la finestra aperta, relegando di conseguenza Cazaril sul lato più buio.
«Voi spostatevi tutti di lato, per fare da testimoni», proseguì Orico, rivolto a Iselle e al suo seguito. «Questo vale anche per voi», aggiunse, guardando il paggio e le due guardie. Alzatosi, aggirò quindi il tavolo per disporre le sue pedine umane nel modo più soddisfacente possibile, mentre dy Jironal rimaneva seduto, intento a giocherellare con una penna, scuro in volto.
Umegat tornò molto prima di quanto Cazaril si sarebbe aspettato, tenendo un corvo sotto un braccio. Il paggio che gli saltellava intorno con fare eccitato.
«È il primo corvo che avete visto?» chiese Orico al ragazzo.
«Sì, mio signore», rispose il ragazzo, con un filo di voce. «Ecco, i corvi erano tutti in volo sopra la Torre di Fonsa, quindi ne abbiamo visti contemporaneamente almeno sei o sette. Umegat si è fermato in mezzo al cortile con le braccia protese e gli occhi chiusi, e questo corvo gli si è andato a posare sulla manica!»
Cazaril sforzò invano la vista per cercare di determinare se a quel volatile borbottante mancassero per caso due penne della coda.
«Benissimo», dichiarò Orico, soddisfatto. «Umegat, ora voglio che tu ti metta nel centro esatto della stanza e che, al mio segnale, lasci andare il corvo sacro, così vedremo verso quale uomo volerà e avremo la risposta al nostro interrogativo. Un momento, però… Prima tutti dovrebbero pregare in cuor loro gli Dei perché ci guidino.»
«Ma, sire, come interpreteremo la risposta?» obiettò Betriz, mentre accanto a lei Iselle stava già assumendo un composto atteggiamento di preghiera, poi fissò intensamente Umegat e aggiunse: «Il corvo deve volare verso il bugiardo, o verso l’uomo sincero?»
«Oh», mormorò Orico, incerto.
«E cosa faremo se quell’uccellaccio si limiterà a volare in cerchio?» aggiunse dy Jironal, con una sfumatura esasperata nella voce.
In tal caso, sapremo che gli Dei sono confusi quanto noi, pensò Cazaril.
«Dal momento che la verità è sacra agli Dei, essi lasceranno volare il corvo verso l’uomo sincero, sire», interloquì Umegat, con un inchino, accarezzando il corvo per calmarlo.
«Oh, benissimo», annuì Orico. «Allora puoi procedere.»
Umegat, che Cazaril cominciava a ritenere dotato di una spiccata inclinazione teatrale, si posizionò in un punto equidistante dai due accusati e protese il braccio su cui era appollaiato l’uccello, ritraendo con lentezza la mano con cui lo controllava e rimanendo quindi del tutto immobile, con un’espressione di assoluta devozione sul volto.
Cazaril non poté fare a meno di chiedersi quale effetto avesse sugli Dei la cacofonia di preghiere che, senza dubbio, in quel momento si stava levando dalla stanza.
Un istante dopo, Umegat proiettò il corvo verso l’alto e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi: stridendo, l’uccello allargò le ali e aprì a ventaglio la coda, cui mancavano due penne.
Immediatamente dy Maroc allargò le braccia con aria speranzosa: sembrava chiedersi se gli sarebbe stato concesso afferrare il volatile a mezz’aria, qualora gli fosse passato sopra. Cazaril, che era sul punto di gridare Caz, Caz, fu invece assalito da una curiosità teologica: che cos’altro avrebbe potuto rivelargli quella prova, considerato che lui conosceva già la verità? Rimase allora immobile e in silenzio, le labbra socchiuse, osservando il corvo che, ignorando la finestra aperta, volava dritto verso di lui.
«Bene, bravo», sussurrò al volatile, quando esso gli affondò gli artigli nella spalla, dondolandosi sulle zampe. Poi, inclinato all’indietro il becco nero, il corvo lo fissò con occhi scintillanti e inespressivi.
Da un lato della stanza, Iselle e Betriz presero a saltellare e a gridare di gioia, abbracciandosi con tale impeto che per poco il corvo non spiccò di nuovo il volo, spaventato. Accanto a loro, dy Sanda si concesse un cupo sorriso, mentre dy Jironal serrava i denti per l’irritazione e dy Maroc appariva vagamente sgomento.
«Bene», dichiarò Orico, facendo il gesto di spolverarsi le mani grassocce. «La questione è risolta. E adesso, per gli Dei, voglio il mio pranzo!»
Circondato Cazaril come una sorta di guardia d’onore, Iselle, Betriz e dy Sanda lo scortarono fuori della Torre di Ias e nel cortile.
«Come avete fatto a scoprire cosa stava succedendo e venire in mio soccorso?» chiese Cazaril, guardando verso il cielo, nel quale adesso non c’era traccia di corvi.
«Un paggio mi ha informato che sareste stato arrestato stamattina, e sono andato immediatamente dalla Royesse», spiegò dy Sanda.
Cazaril si domandò se anche dy Sanda, come lui, avesse l’abitudine di pagare svariati osservatori, sparsi per il palazzo, per sapere in anticipo ogni novità, e come mai, in quel caso, lui non fosse stato avvertito in tempo dai suoi informatori. «Ti ringrazio per avermi protetto le… Per il tuo intervento tempestivo», replicò, rifiutandosi di proferire la parola spalle. «Sarei già stato allontanato, se non foste venuti tutti in mio soccorso.»
«Non c’è bisogno di ringraziamenti», affermò dy Sanda. «Sono convinto che voi avreste fatto lo stesso per me.»
«Mio fratello aveva bisogno di qualcuno che lo pungolasse», aggiunse Iselle, con una vena di amarezza nella voce. «Lasciato a se stesso, si piega sotto il vento più forte.»
Combattuto tra l’impulso di lodare l’acutezza dell’analisi e quello di rimproverare la giovane per la sua eccessiva franchezza, Cazaril preferì evitare di ribattere e si girò invece verso dy Sanda. «Da quanto tempo questa storia sul mio conto sta circolando a corte?» chiese.
«Credo da quattro o cinque giorni», replicò dy Sanda, scrollando le spalle.
«Noi non ne abbiamo saputo nulla fino a oggi!» protestò Betriz, indignata.
«Probabilmente, è sembrata troppo cruda per le vostre orecchie di fanciulla, mia signora», disse dy Sanda, in tono di scusa, poi accettò i rinnovati ringraziamenti di Cazaril e si congedò dagli altri, per andare a controllare i progressi di Teidez nello studio.
«È stata tutta colpa mia, vero?» commentò allora Betriz, con voce soffocata e aria depressa. «Dondo vi ha attaccato per vendicarsi dello scherzo del maiale. Oh, Lord Caz, mi dispiace!»
«No, mia signora», dichiarò Cazaril, deciso. «Tra Dondo e me esiste una vecchia ruggine che risale a prima… di Gotorget.» La ragazza sembrò rasserenarsi e lui continuò: «Posso tuttavia concedervi che lo scherzo del maiale non ha migliorato le cose, per cui non dovreste davvero rifare una cosa del genere».