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Lombra della maledizione

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Lombra della maledizione
Название: Lombra della maledizione
Дата добавления: 16 январь 2020
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Lombra della maledizione - читать бесплатно онлайн , автор Bujold Lois Mcmaster

 Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…

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Dato che i tentativi «convenzionali» di assassinare quel genio militare erano falliti, si era fatto ricorso alla magia di morte almeno una dozzina di volte, ma invano. Basandosi su studi approfonditi, Fonsa il Saggio era allora giunto alla conclusione che il Generale Dorato era stato prescelto da uno degli Dei e che nessun sacrificio inferiore a quello della vita di un re avrebbe potuto controbilanciare il suo sfolgorante destino. Nel corso delle guerre contro il nord, Fonsa aveva già perso cinque figli ed eredi, e il suo figlio più giovane, Ias, era impegnato in una lotta serrata contro i roknari, per difendere gli ultimi passi montani e bloccare le vie d’invasione. In una notte di tempesta, prendendo con sé soltanto un Divino del Bastardo che godeva della sua confidenza e un giovane paggio fedele, Fonsa era salito sulla sua torre, e si era chiuso a chiave la porta alle spalle…

La mattina successiva, i cortigiani di Chalion avevano estratto dalle macerie tre corpi carbonizzati. Soltanto la diversa statura aveva permesso loro di distinguere il Divino dal paggio e dal Roya. Sconvolta e terrorizzata, l’intera corte aveva atteso che il suo fato si compisse, ma il corriere partito da Cardegoss alla volta del settentrione, per portare la luttuosa notizia, si era incontrato con un altro corriere diretto a sud per annunciare la vittoria. Funerale e incoronazione erano così stati celebrati contemporaneamente all’interno del castello di Zangre.

«Quand’è tornato dalla guerra, il Royse Ias — ora divenuto Roya — ha ordinato di murare le finestre più basse e le porte della torre del padre, proclamando che nessuno vi doveva entrare», spiegò Cazaril a Betriz, contemplando quelle alte mura.

In quel momento, una nera sagoma svolazzante si lanciò dalla sommità della torre, inducendo Betriz ad abbassare la testa con uno strillo spaventato.

«I corvi vi hanno fatto il nido fin da allora», osservò Cazaril, piegando la testa all’indietro per seguire il corvo che volava in cerchio sullo sfondo azzurro del cielo. «Credo si tratti degli stessi corvi che i Divini del Bastardo nutrono nel cortile del Tempio. Sono uccelli intelligenti, tanto che gli Accoliti li addomesticano e insegnano loro a parlare.»

«Cosa dicono?» domandò Iselle, che si era fatta più vicina.

«Non molto», ammise Cazaril, scoccandole un rapido sorriso. «Non ne ho mai visto uno il cui vocabolario consistesse di più di tre stridii, benché alcuni Accoliti sostenessero che stavano dicendo molto di più.»

Avvertito dal messaggero che dy Sanda aveva mandato a precederli, uno stuolo di servitori e di garzoni di stalla stava accorrendo per assistere gli ospiti, e il siniscalco del castello di Zangre provvide a sistemare i gradini perché la Royesse Iselle potesse smontare di sella. Osservando quella testa grigia china davanti a lei, forse Iselle si rammentò del proprio rango e, per una volta, si servì dei gradini, scendendo da cavallo con la grazia propria di una dama. Teidez consegnò le redini della propria cavalcatura a uno stalliere che continuava a inchinarsi e a guardarsi intorno con occhi scintillanti. Il siniscalco conferì poi rapidamente con dy Sanda e con Cazaril per risolvere una dozzina di problemi pratici immediati, che andavano dal trovare una sistemazione ai cavalli e ai servi al fare altrettanto col Royse e con la Royesse.

Subito dopo, il siniscalco accompagnò i due giovani figli della Royina verso le stanze loro assegnate, nell’ala sinistra del corpo principale del palazzo, precedendo una lunga fila di servitori carichi di bagagli. A Teidez e al suo seguito venne data metà di un intero piano, mentre Iselle e le sue dame furono sistemate al piano superiore. Quanto a Cazaril, si vide assegnare una camera sul piano riservato ai gentiluomini, proprio in fondo al corridoio, tanto da indurlo a chiedersi se ci si aspettava da lui che sorvegliasse la porta.

«Riposate e rinfrescatevi», consigliò il siniscalco. «Il Roya e la Royina vi riceveranno stasera, nel corso di un banchetto per celebrare il vostro arrivo, un banchetto cui presenzierà tutta la corte.»

Seguì un’altra processione di servitori che portavano acqua per lavarsi, asciugamani e lenzuola puliti, pane, frutta, pasticcini, formaggio e vino. Prima del banchetto, i visitatori giunti da Valenda non avrebbero patito né la fame né la sete.

«Dove sono il mio regale fratello e mia cognata?» chiese Iselle al siniscalco.

«La Royina sta riposando», rispose l’uomo, con un inchino. «Il Roya invece sta visitando il suo serraglio, che costituisce per lui una grande consolazione.»

«Mi piacerebbe vederlo», osservò Iselle, in tono un po’ malinconico. «Me ne ha parlato spesso, nelle sue lettere.»

«Diteglielo, e di certo sarà lieto di mostrarvelo», garantì il siniscalco, con un sorriso.

Le dame si trovarono ben presto impegnate in una frenetica ricerca per scegliere gli indumenti adatti al banchetto. Era un’attività che non richiedeva l’assistenza di Cazaril, il quale ordinò al servitore messogli a disposizione di scaricare il baule col suo vestiario nella stanzetta. Poi, dopo aver chiesto al giovane di andarsene, gettò le sacche da sella sul letto e vi frugò dentro, cercando la lettera per Orico che la Provincara gli aveva ingiunto di consegnare al Roya al più presto possibile, dopo il suo arrivo al castello di Zangre. Trovata la lettera, Cazaril si concesse appena il tempo di lavarsi le mani dalla polvere accumulata durante il viaggio e di dare una rapida occhiata dalla finestra della sua stanza. Era affacciata su un profondo burrone che, su quel lato del castello, sembrava partire proprio dal suo davanzale ed estendersi fino a un vago scintillare d’acqua che rivelava la presenza del fiume, a stento visibile tra gli alberi, molto più in basso. Infine uscì per andare alla ricerca di Orico.

Nel tragitto fino al serraglio — annesso alle stalle e quindi situato fuori delle mura e al di là dei giardini -, Cazaril si perse soltanto una volta, individuando infine la sua meta grazie a un acuto odore di letame che però non era né umano né equino. Indugiando davanti all’ingresso, fissò con diffidenza la soglia ad arco dell’edificio di pietra, attendendo che la vista gli si abituasse alla penombra, poi entrò con cautela.

Venne immediatamente attratto da un paio di stallaggi, convertiti in gabbie, che ospitavano due splendidi orsi neri dal pelo lucido e folto. Uno di essi stava dormendo su un mucchio di paglia pulita; l’altro sollevò il muso al suo passaggio e annusò l’aria con fare speranzoso. Sul lato opposto del passaggio, altri stallaggi ospitavano bestie che lui non riuscì neppure a identificare: sembravano capre alte e dinoccolate, con un lungo collo ricurvo, occhi miti e una pelliccia folta e morbida. Subito dopo, in una stanza laterale, grandi uccelli dai colori vivaci — almeno una dozzina — erano appollaiati sui trespoli, intenti a ciangottare e a pavoneggiarsi, mentre altri volatili più piccoli, ma ugualmente colorati, svolazzavano all’interno di una serie di gabbie appese alla parete. Dalla parte opposta, in una rientranza aperta, Cazaril trovò infine alcuni esseri umani: uno stalliere che indossava la livrea del Roya e un uomo grasso che sedeva a gambe incrociate su un tavolo, la mano stretta intorno al collare adorno di gemme di un leopardo. Sussultando, Cazaril s’immobilizzò nel vedere l’uomo protendere la testa, avvicinarla alle fauci aperte del grande felino e mettersi a pettinare l’animale con gesti decisi, in mezzo a una nuvola di peli gialli e neri. Il leopardo si contorse sul tavolo in preda a quella che, dopo un momento, Cazaril identificò come una manifestazione felina di estasi. Ma, concentrato com’era sul leopardo, impiegò un altro istante a rendersi conto che l’uomo impegnato a spazzolarlo era il Roya Orico.

Erano trascorsi almeno dodici anni da quando l’aveva visto e il tempo non era certo stato clemente con Orico. A dire il vero, non era mai stato un uomo avvenente, neppure quand’era ancora nel fiore degli anni. Di statura leggermente inferiore alla media, Orico aveva il naso un po’ troppo corto e, purtroppo, deformato da una frattura in seguito a una caduta da cavallo avvenuta quand’era ancora un ragazzo. Ormai sembrava che, al centro del viso, pallido e gonfio, ci fosse una sorta di fungo schiacciato. Gli occhi erano segnati da spesse borse; i capelli, un tempo ramati e ricciuti, erano diventati rossicci e molto più radi; il corpo appariva vistosamente ingrassato. Mentre procedeva a spazzolarlo, Orico rivolgeva al leopardo versi gorgoglianti e il felino gli strusciava la testa contro la tunica, spargendo altro pelo, e leccando il broccato con colpi vigorosi di una lingua grande quanto uno strofinaccio. Senza dubbio, era interessato a una grossa macchia di grasso che si stendeva sull’ampio ventre del Roya. Le maniche di Orico erano arrotolate, rivelando una mezza dozzina di graffi; d’un tratto, il leopardo chiuse le fauci intorno a un braccio nudo e lo trattenne brevemente, senza però accentuare la stretta. Costringendosi a rilassare le dita, strette intorno all’impugnatura della spada, Cazaril si schiarì la gola per annunciare la propria presenza e, quando il Roya girò la testa, posò al suolo un ginocchio.

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