City
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Questo libro narra la storia dell’Uomo e del suo pianeta, la Terra, attraverso i secoli futuri, in una progressione abbagliante di visioni. indimenticabili e poetiche; ? l’opera che moltissimi considerano il momento pi? intensamente poetico di tutta la storia della fantascienza. Con la sua quieta, serena filosofia, con la sua magica capacita di evocare situazioni e paesaggi allo stesso tempo grandiosi e a perfetta,’ misura umana, Simak ci descrive dapprima il graduale abbandono delle citta, per una pi? serena vita nelle campagne; e poi ci accompagna nella descrizione della lenta espansione verso gli spazi cosmici, ci mostra la comparsa dei Mutanti, enigmatici figli della razza umana che di umano conservano solo una spietata, folle ironia, ci descrive il lento passaggio dell’eredita umana ai Cani, fedeli compagni dell’Uomo per millenni, ci parla dei robot che l’uomo ha creato a propria: immagine, e degli alieni che popolano i suoi sogni cosmici. E, attraverso la rivelazione di un nuovo e totalmente inaspettato piano di, esistenza su Giove, il gigantesco pianeta che sar? il nuovo Paradiso… o il nuovo Nirvana?… per tutto il genere umano, Simak si proietta nel buio dei millenni, quando l’intera razza umana sar? ricordata con il nome di una sola famiglia, i Webster, e l’antica casa sulla collina sar? un tempio e un memoriale lentamente dimenticato. E su tutto questo grandioso affresco di figure indimenticabili, gigantesca, si staglia la figura del pi? grande personaggio creato da uno scrittore di fantascienza: Jenkins, il robot antico, che nei suoi circuiti elettronici si aggrappa disperatamente al ricordo dell’umanit? desiderata e perduta.
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«Un problema che esiste ancora oggi,» dichiarò Webster. «Molti di loro sono ancora al punto di partenza. Ce ne sono cento e più che si nascondono nelle case, vivendo l’esistenza più semplice che si possa immaginare. Uccidono qualche coniglio e qualche scoiattolo, vanno a pesca, coltivano ortaggi e raccolgono dei frutti selvatici. Di quando in quando compiono dei piccoli furti e a volte chiedono l’elemosina nelle strade del centro, dove esistono ancora gli uffici.»
«Lei li conosce?» domandò Taylor.
«Ne conosco alcuni,» ammise Webster. «Ce n’è uno che di quando in quando mi porta dei conigli e degli scoiattoli. In cambio gli do del denaro per le munizioni.»
«Rifiuterebbero di essere riadattati, vero?»
«Sì, certo, e violentemente,» disse Webster.
«Lei conosce un contadino, un certo Ole Johnson? Che rimane aggrappato ancora alla sua fattoria, che non intende cambiare?»
Webster annuì.
«E se cercasse di riadattare lui?»
«Mi caccerebbe a calci dalla fattoria,» disse Webster.
«Gli uomini come Ole e gli Abusivi,» dichiarò Taylor, «Sono il nostro problema più assillante, oggi. Il resto del mondo è quasi completamente riadattato, è rientrato nei binari della realtà presente. Molti si lamentano sempre, parlano con nostalgia del passato, ma si tratta di lamenti a effetto, più che altro. Non potrebbero ritornare al loro vecchio sistema di vita.
«Anni or sono, con l’avvento dell’energia atomica industriale, la Commissione Mondiale ha dovuto affrontare una decisione grave e difficile. I cambiamenti che il mondo doveva affrontare per progredire dovevano essere accuratamente graduati, misurati in modo che la popolazione si adattasse naturalmente, oppure dovevano essere operati con la maggiore rapidità possibile, facendo intervenire la Commissione per aiutare gli individui a raggiungere il necessario adattamento? È stato deciso, giusta o sbagliata che fosse questa decisione, di fare venire per primo il progresso, senza preoccuparsi dell’effetto che esso avrebbe prodotto sulla popolazione. La decisione, nelle sue grandi linee, si è rivelata saggia.
«Noi sappiamo bene, naturalmente, che in molti casi quest’opera di riadattamento non avrebbe potuto svolgersi apertamente. In alcuni casi, per esempio presso le grandi masse di lavoratori che si erano trovate senza lavoro, un riadattamento generale e aperto si è rivelato possibile, ma nella maggior parte dei casi individuali, come quello del nostro amico Ole, la cosa cambiava completamente. Questi individui dovevano essere aiutati a ritrovarsi nel mondo nuovo, ma non dovevano sapere dell’esistenza di questo aiuto. Sapendolo, avrebbero perduto la fiducia in se stessi e la dignità, e la dignità è la base di qualsiasi civiltà.»
«Ero naturalmente al corrente dell’opera di riadattamento compiuta all’interno del mondo industriale,» disse Webster. «Ma il fatto dei casi individuali mi giunge completamente nuovo.»
«Certo, non potevamo renderlo di pubblico dominio,» disse Taylor. «Praticamente questo lavoro si svolge clandestinamente.»
«Ma perché mi sta dicendo tutto questo?»
«Perché saremmo lieti di averla con noi. Tanto per cominciare, che ci aiutasse a risolvere il problema di Ole. E poi, magari, che vedesse cosa si può fare per gli Abusivi.»
«Non saprei…» disse Webster.
«La stavamo aspettando,» disse Taylor. «Sapevamo che alla fine sarebbe venuto qui. Ogni possibilità di trovare lavoro le sarebbe stata preclusa da King. Lui ha passato parola nei circoli influenti. Lei è sulla lista nera di ogni Camera di Commercio e di ogni gruppo civico del mondo, ormai.»
«Probabilmente non ho scelta,» disse Webster.
«Non vogliamo che lei pensi questo,» disse Taylor. «Prenda tempo per riflettere, poi torni da noi. Anche se non accetterà la nostra proposta, le troveremo un altro lavoro… a dispetto di King.»
Fuori, Webster vide uno spaventapasseri che lo stava aspettando. Era Levi Lewis, senza il suo sorriso dai denti neri e rotti, ma con il fucile sotto il braccio.
«Degli amici hanno detto di averla vista entrare qui,» spiegò. «Così sono venuto ad aspettarla.»
«Ci sono dei guai?» chiese Webster, perché l’espressione di Levi indicava eloquentemente che c’erano dei guai.
«È quella dannata polizia,» disse Levi, e sputò, disgustato.
«La Polizia,» ripeté Webster, e a quelle parole il cuore gli mancò… perché adesso conosceva la natura dei guai.
«Già,» disse Levi. «Si preparano a scacciarci col fuoco.»
«Così il consiglio comunale ha ceduto, alla fine,» fece Webster.
«Sono andato adesso al comando di polizia,» disse Levi. «Li ho avvertiti di andarci piano, se non vogliono avere sorprese. Li ho avvertiti che ci sarebbero state le budella di un sacco di gente per le strade, se ci proveranno. Ho piazzato i ragazzi tutt’intorno alla zona, nei punti strategici, con l’ordine di non sparare fino a quando non saranno più che certi di colpire il bersaglio.»
«Non puoi fare questo, Levi,» disse Webster, seccamente.
«Non posso?» esclamò Levi. «Ma l’ho già fatto. Ci hanno scacciati dalle fattorie, ci hanno costretti a vendere perché altrimenti saremmo tutti morti di fame. Ma adesso non ci scacceranno più da nessun posto. O resteremo qui, o moriremo qui. E se vogliono cacciarci via col fuoco, potranno farlo solo quando non ci sarà più nessuno di noi a fermarli.»
Si tirò su con la mano i pantaloni troppo larghi, e sputò di nuovo.
«E non siamo gli unici che la pensano così,» dichiarò. «Pa’ è con noi. È già al suo posto.»
«Pa’!»
«Sicuro, Pa’. Il vecchio che vive con lei. È venuto da noi, e ce lo siamo preso come una specie di generale in capo. Dice che si ricorda di certi trucchi che ha imparato durante la guerra e che la polizia neppure si sogna. Ha mandato alcuni dei ragazzi in quei sacrari della Legione a prendere un cannone. E dice di sapere dove possiamo procurarci qualche proiettile, in uno dei musei. Dice che dovremo organizzarci bene, e che quando tutto sarà pronto potremo avvertire la polizia che, non appena farà una mossa, noi cominceremo i fuochi d’artificio.»
«Senti, Levi, me lo faresti un favore?»
«Certo, signor Webster.»
«Vorresti entrare nell’edificio a chiedere di un certo signor Taylor? Insisti per vederlo personalmente. E digli che sono già al lavoro.»
«Certo, signor Webster, ma dove sta andando?»
«Vado in municipio.»
«È sicuro di non volermi con lei?»
«No,» dichiarò Webster. «Farò molto meglio da solo, grazie. E, Levi…»
«Sì?»
«Di’ a Pa’ di tenere a bada la sua artiglierìa. Che non spari se proprio non vi è costretto… ma se lo sarà, che cerchi di non sbagliare mira!»
«Il sindaco è occupato,» disse Raymond Brown, il suo segretario.
«Lo credi tu,» disse Webster, dirigendosi verso la porta.
«Non puoi entrare, Webster,» gridò Brown.
Balzò in piedi, girò intorno alla scrivania a passo di carica, cercando di afferrare Webster. Webster si girò, violentemente, colpì con una robusta spallata Brown, che barcollando andò a colpire la scrivania. La scrivania si spostò e Brown agitò le braccia, perse l’equilibrio e cadde pesantemente a terra.
Webster spalancò la porta dell’ufficio del sindaco.
I piedi del sindaco sparirono come per magia dal piano della scrivania:
«Avevo detto a Brown…» cominciò.
Webster annuì.
«E Brown me l’ha riferito. Che succede, Carter? Hai paura che King scopra che sono stato qui? Hai paura di venire contaminato da qualche buona idea?»
«Che cosa vuoi?» disse seccamente Carter.
«Ho saputo che la polizia sta per incendiare le case.»
«È vero,» dichiarò il sindaco, in tono pontificale, «Sono una minaccia per la comunità.»
«Quale comunità?»
«Adesso ascolta, Webster…»
«Sai benissimo che non esiste nessuna comunità. C’è solo un manipolo di sporchi politicanti come te, un gruppo che resta qui come se avesse messo le radici, per conservare il diritto di residenza ed essere sicuro di venire eletto ogni anno, incassando così lo stipendio. Stiamo arrivando al punto in cui vi basterà votare l’uno per l’altro, per essere sicuri di essere eletti. La gente che lavora nei negozi e nelle fabbriche, perfino quelli che svolgono le mansioni più umili nelle fabbriche, non abitano entro i confini del comune. Gli industriali e i commercianti se ne sono andati da molto tempo. Continuano a fare qui i loro affari, ma non sono più residenti del comune.»