City
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Questo libro narra la storia dell’Uomo e del suo pianeta, la Terra, attraverso i secoli futuri, in una progressione abbagliante di visioni. indimenticabili e poetiche; ? l’opera che moltissimi considerano il momento pi? intensamente poetico di tutta la storia della fantascienza. Con la sua quieta, serena filosofia, con la sua magica capacita di evocare situazioni e paesaggi allo stesso tempo grandiosi e a perfetta,’ misura umana, Simak ci descrive dapprima il graduale abbandono delle citta, per una pi? serena vita nelle campagne; e poi ci accompagna nella descrizione della lenta espansione verso gli spazi cosmici, ci mostra la comparsa dei Mutanti, enigmatici figli della razza umana che di umano conservano solo una spietata, folle ironia, ci descrive il lento passaggio dell’eredita umana ai Cani, fedeli compagni dell’Uomo per millenni, ci parla dei robot che l’uomo ha creato a propria: immagine, e degli alieni che popolano i suoi sogni cosmici. E, attraverso la rivelazione di un nuovo e totalmente inaspettato piano di, esistenza su Giove, il gigantesco pianeta che sar? il nuovo Paradiso… o il nuovo Nirvana?… per tutto il genere umano, Simak si proietta nel buio dei millenni, quando l’intera razza umana sar? ricordata con il nome di una sola famiglia, i Webster, e l’antica casa sulla collina sar? un tempio e un memoriale lentamente dimenticato. E su tutto questo grandioso affresco di figure indimenticabili, gigantesca, si staglia la figura del pi? grande personaggio creato da uno scrittore di fantascienza: Jenkins, il robot antico, che nei suoi circuiti elettronici si aggrappa disperatamente al ricordo dell’umanit? desiderata e perduta.
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Levi Lewis sorrise, scoprendo una chiostra di denti neri e spezzati.
«Non c’è male. Gli orti vengono su bene e i conigli hanno fatto una nuova covata. Saranno buoni da mangiare.»
«Tu non sarai immischiato nei disordini provocati dalle case, vero?» domandò Webster.
«No, signore,» dichiarò Levi. «Nessuno di noi Abusivi è immischiato nei disordini. Noi siamo gente timorata di Dio e rispettosa della legge, siamo. Il solo motivo per cui siamo qui è che non possiamo trovare il pane da nessun’altra parte. E se viviamo nei posti che gli altri hanno abbandonato, non facciamo male a nessuno. La polizia dà a noi la colpa dei furti e di tutte le altre cose che succedono, solo perché sa che non possiamo difenderci. Noi siamo i capri espiatori, ecco cosa siamo.»
«Sono contento di sentirtelo dire,» fece Webster. «Il capo vuole bruciare le case.»
«Se ci prova,» dichiarò Levi, «Sbatterà contro qualcosa che non si immagina nemmeno. Ci hanno sbattuti fuori dalle nostre fattorie, con quella loro dannata coltivazione in vasca, ma adesso non ci sbatteranno fuori da dove siamo.»
Sputò sui gradini della grande scalinata. «Non avrebbe per caso qualche spicciolo che le cresce?» domandò. «Ho finito le munizioni e con quei conigli che crescono…»
Webster si frugò nel taschino del panciotto, e tirò fuori mezzo dollaro.
Levi sorrise.
«Lei è davvero molto gentile, signor Webster. Le porterò un battaglione di conigli, quest’autunno.»
L’Abusivo salutò Webster toccandosi la falda del cappello con due dita, e poi ridiscese la scalinata. La canna del fucile riverberava sotto i raggi del sole. Webster continuò a salire.
Quando Webster entrò nella sala, vide che la riunione del consiglio comunale era già in pieno svolgimento.
Jim Maxwell, il capo della polizia, era in piedi accanto al tavolo, e il sindaco Paul Carter stava parlando.
«Non ti sembra di agire un po’ affrettatamente, Jim, nel chiedere una simile linea d’azione nei confronti delle case?»
«Niente affatto,» dichiarò il capo. «A eccezione di una ventina circa, nessuna di quelle case è occupata dai legittimi proprietari, o meglio, dai proprietari d’origine. Ciascuna di esse, ora, appartiene alla città, per il mancato pagamento delle tasse. E sono soltanto una preoccupazione e una minaccia. Non hanno valore alcuno, neppure come materiale di recupero. Pensate: a che ci servirebbero? Cosa possiamo ricavarci? Legno, forse? Non usiamo più il legno. Le materie plastiche sono infinitamente migliori. La pietra? Adesso usiamo l’acciaio, invece della pietra. Nemmeno una di quelle case… nemmeno una, ripeto… possiede del materiale di qualche valore commerciale.
«E, nel frattempo, stanno diventando i rifugi di piccoli delinquenti e di elementi indesiderabili. Le case, sepolte dalla vegetazione, con i giardini invasi dalle erbacce, offrono dei nascondigli perfetti per i criminali di tutte le specie. Un uomo commette un delitto e si dirige verso una delle case… non appena vi è giunto, è completamente al sicuro, perché io potrei mandare mille uomini e il criminale riuscirebbe ugualmente a sfuggire alle ricerche.
«Le case non valgono la spesa di una demolizione. Eppure sono, se non una minaccia, almeno un grosso inconveniente, un fastidio. Dovremmo sbarazzarci di loro e il fuoco è il sistema più rapido e più economico. Naturalmente useremo tutte le precauzioni del caso.»
«E come la metteremo dal punto di vista legale?» domandò il sindaco.
«Ho fatto delle ricerche, naturalmente. Se un cittadino ha il diritto di distruggere la propria proprietà con qualsiasi mezzo, a meno che così facendo non metta in pericolo la proprietà altrui, non vedo per quale motivo la stessa legge non dovrebbe applicarsi a un comune.»
L’assessore Thomas Griffin balzò in piedi.
«In questo modo ti alieneresti la simpatia di un mucchio di gente,» dichiarò. «Bruceresti un’infinità di case per le quali la gente prova ancora un forte attaccamento sentimentale…»
«Se fosse vero,» esclamò seccamente il capo, «Se fossero così affezionati alle loro case, perché non hanno pagato le tasse e non hanno avuto cura delle case? Perché se ne sono andati in campagna, correndo come lepri, lasciando le case abbandonate, così come stavano? Chiedilo a Webster. Lui può dirti quale successo ha ottenuto, cercando di ridestare nella gente l’amore per le loro vecchie case.»
«Tu parli di quella farsa che è stata la Settimana della Vecchia Casa,» disse Griffin. «È stato un fiasco. Naturalmente che lo è stato! Webster ha buttato un’esca così grossa, che i pesci, invece di abboccare, sono morti soffocati. Lavorando con una mentalità propria della Camera di Commercio, si ottengono sempre questi risultati.»
L’assessore Forrest King prese la parola, rabbiosamente.
«Che cos’hai da dire contro la Camera di Commercio, Griffin? Se tu hai fatto fiasco negli affari, non è un buon motivo per…»
Griffin lo ignorò ostentatamente.
«Il giorno della pressione sulle masse è tramontato, signori. È tramontato per sempre. La Giornata del Consumo è morta e sepolta.
«Il giorno in cui si potevano proclamare giornate del granoturco o del dollaro o escogitare qualche celebrazione artificiosa e chiassosa è tramontato da tempo. Le sfilate di ragazze in costume e il rullo dei tamburi e i fuochi d’artificio, che attiravano folle d’ingenui pronti a spendere dollari per consumare il prodotto che ci passava in testa di lanciare in quel periodo, appartengono al passato, ed è un passato vecchio di molti, molti anni. Questo è un fatto; e mi sembra che soltanto voi non ve ne siate resi conto, o non vogliate rendervene conto.
«Il successo di queste esibizioni da circo era dovuto allo sfruttamento della psicologia della massa e della lealtà civica, lo spirito civico che faceva sentire un cittadino parte della città, che gli faceva credere di dovere qualcosa alla collettività. Ma non può esistere lo spirito civico, mentre la città agonizza, muore. E non ci si può appellare alla psicologia della massa, quando la massa non c’è… la folla è scomparsa… quando ogni uomo, o quasi, possiede la solitudine di quaranta acri di campagna.»
«Signori,» supplicò il sindaco, «Signori, questo è chiaramente fuori luogo. Stiamo dimenticando l’argomento di cui ci occupiamo.»
King si animò improvvisamente, si avvicinò al tavolo a grandi passi.
«No, vediamo di parlarci chiaro e di arrivare fino in fondo. Webster è arrivato. Forse ci potrà dire cosa ne pensa.» Webster si mosse, sentendosi enormemente a disagio.
«Credo proprio di non avere nulla da dire,» mormorò.
«Lasciamo perdere,» disse Griffin, seccamente, e tornò a sedersi.
Ma King rimase in piedi, con il viso paonazzo, e le labbra tremanti per l’ira.
«Webster!» gridò.
Webster scosse il capo.
«Tu sei venuto qui con una delle tue grandi idee,» gridò King, ancora più forte. «Volevi sottoporla al consiglio. Avanti, amico, alzati e parla.»
Webster si alzò lentamente, stringendo le labbra, ostile.
«Forse tu hai la testa troppo dura.» disse a King, «Per capire per quale motivo il tuo comportamento mi ha offeso.»
King spalancò la bocca, spalancò gli occhi, e poi, dopo un attimo di silenzio attonito, esplose.
«La testa troppo dura! Hai il coraggio di dire questo a me, a me! Abbiamo lavorato insieme e io ti ho sempre aiutato. Non ti sei mai permesso di parlarmi così, prima d’ora… hai sem…»
«Non ti ho mai parlato così prima d’ora.» disse Webster, in tono calmo, «È naturale. Non volevo perdere il posto.»
«Be’ il posto l’hai perso,» ruggì King. «Da questo preciso momento, il posto l’hai perso.»
«Piantala.» disse Webster.
King lo fissò, attonito, come se qualcuno lo avesse improvvisamente preso a schiaffi in faccia.
«E siediti,» aggiunse Webster. La sua voce attraversò il silenzio della sala come la lama di un coltello.
Le ginocchia di King si piegarono, e l’uomo sedette, pesantemente. Il silenzio era assoluto, gelido come la neve.