Incontro con Rama
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Come sar? il nostro primo incontro con una razza, una civilt? extraterrestre? Gli scettici dicono: non ci sar? mai. I pessimisti obiettano: gi? non riusciamo ad andare d'accordo fra noi, figurarsi con gli alieni. Nondimeno, milioni di uomini continuano a fantasticare appassionatamente su quel tema, e decine di scrittori a esplorarne tutte le varianti possibili. Questo Rama, questo corpo estraneo che si presenta un giorno nel nostro cielo, questo cilindro grandioso che ? astronave, relitto, museo, enigmatica e solenne cattedrale, si pu? considerare una delle invenzioni di maggior fascino mai create dalla fantascienza. E la bravura di Clarke, maestro di verosimiglianza cosmica, sta nel persuaderci col suo inimitabile piglio insieme avventuroso e scientifico, che si tratta anche di un'invenzione tutt'altro che «impossibile». Che proprio cos? andranno forse le cose, quando scoccher? l'ora del primo incontro.
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«Bernal, e altri, pensavano che fosse possibile mediante piccoli mondi mobili del diametro di qualche chilometro, che portavano migliaia di passeggeri, con viaggi che sarebbero durati generazioni. Naturalmente, il sistema doveva essere rigidamente autonomo, con rigenerazione di tutti i cibi, dell'acqua e dell'altro materiale destinato al consumo. Il che, dopo tutto, è lo stesso sistema di funzionamento della Terra, anche se su scala più vasta.
«Alcuni autori propongono per le arche spaziali la forma di sfere concentriche, altri di cilindri cavi rotanti in modo che la forza centrifuga fornisca un minimo di gravità artificiale… cioè esattamente quello che abbiamo trovato su Rama…»
Davidson detestava i termini imprecisi, e scattò dicendo: — Non esiste la forza centrifuga. È un fantasma creato dai tecnici. Esiste solo l'inerzia.
— Naturalmente avete ragione — ammise Perera, — anche se non credo che riuscireste a convincere uno che è stato appena scagliato via da una giostra. Ma la precisione matematica non mi sembra necessaria…
— Sentite — intervenne Bose alquanto esasperato. — Sappiamo, o crediamo di sapere tutti cosa significa. Vi prego di non distruggere le nostre illusioni.
— Be', stavo solo dicendo che il concetto con cui è stato costruito Rama non è nuovo, anche se le sue dimensioni sono sbalorditive. Gli uomini avevano cominciato a pensare a costruzioni simili duecento anni fa.
«Ma vorrei pormi un'altra domanda. Da quanto tempo Rama sta viaggiando nello spazio?
«Conosciamo esattamente i dati relativi alla sua orbita e alla sua velocità. Presumendo che non abbia compiuto mutamenti di rotta, possiamo stabilire la sua posizione nel corso di milioni di anni. Noi pensavamo che venisse da una stella vicina, ma non è così.
«Sono trascorsi più di duecentomila anni da quando Rama è passata vicino a una stella, e si trattava di una variabile irregolare, cioè di una stella che meno di qualsiasi altra potrebbe avere un sistema abitato. La sua luminosità passa da cinquanta a uno, per cui i suoi pianeti gelerebbero e brucerebbero alternativamente nel giro di alcuni anni.»
— Ci sarebbe un'ipotesi che forse spiega tutto — lo interruppe la dottoressa Price. — Forse quella stella era un tempo un sole normale diventato poi instabile. Ecco perché i ramani furono costretti a cercare un nuovo mondo.
Perera ammirava la vecchia archeologa, perciò non infierì su di lei. Si chiese però che cosa avrebbe detto, se lui avesse formulato un'ipotesi scontata in materia di archeologia.
— È un'ipotesi che abbiamo preso in considerazione — disse con gentilezza. — Ma se le nostre teorie sull'evoluzione stellare sono giuste, quella stella non può essere mai stata stabile, non può mai aver avuto pianeti su cui sia comparsa la vita. Perciò Rama sta attraversando gli spazi da non meno di duecentomila anni e forse da più di un milione.
«Ora è gelido e buio, e apparentemente morto, e credo di sapere perché. Può darsi che i ramani non avessero scelta, costretti forse a fuggire da qualche catastrofe, ma sbagliarono i calcoli.
«Un'ecologia chiusa non può essere efficiente al cento per cento. Ci sono sempre sprechi, perdite, una degradazione dell'ambiente e un aumento di agenti inquinanti. Ci vorranno forse miliardi di anni per avvelenare e rendere sterile un pianeta, ma alla fine si arriverà a questo risultato. Gli oceani si prosciugheranno e l'atmosfera scomparirà.
«Secondo il nostro standard Rama è enorme, eppure come pianeta è piccolissimo. I miei calcoli, basati sulle perdite dello scafo, e su alcune supposizioni logiche sulla durata dei cicli biologici, stanno a indicare che la sua ecologia sia potuta sopravvivere per qualche migliaio di anni circa… diciamo diecimila al massimo.
«È un periodo abbastanza lungo, data la velocità di Rama, per consentirgli di passare vicino ai numerosi soli che si trovano al centro della galassia. Ma non nel braccio della spirale dove sono molto più radi. Rama è una nave che ha esaurito le provviste di bordo prima di arrivare alla meta. È un relitto che viaggia tra le stelle.
«A questa teoria si potrebbe portare un'obiezione fondata, che mi affretto a esporre subito. L'orbita di Rama è calcolata con tale precisione che il suo ingresso nel sistema solare non è certo accidentale. Dirò solo che passa troppo vicino al Sole per avere un margine sufficiente di sicurezza, tanto che, ad esempio, la nostra Endeavour dovrà staccarsene un bel po' prima del perielio per evitare il surriscaldamento.
«Non pretendo di sapere tutto. Forse Rama è dotato di un sistema di guida automatico ancora funzionante, che gli consente di avvicinarsi alla stella più adatta anche dopo la scomparsa dei suoi costruttori.
«Perché loro sono morti, ci gioco la mia reputazione di scienziato. Tutti i campioni prelevati all'interno sono assolutamente sterili. Non abbiamo trovato un solo microrganismo. E dimenticate pure le favole dell'ibernazione. Esistono ragioni fondamentali per cui le tecniche di ibernazione possono funzionare per qualche secolo e non di più, mentre qui ci troviamo davanti a periodi di tempo migliaia di volte superiori.
«Perciò i pandoriani e i loro simpatizzanti non devono preoccuparsi. Quanto a me, sono desolato. Sarebbe splendido conoscere altre razze intelligenti.
«Ma, se non altro, abbiamo risposto a un'antica domanda. Non siamo soli. Le stelle non saranno più le stesse di prima, per noi.»
10
La tentazione era forte, ma Norton, come ufficiale Comandante, aveva prima di tutto dei doveri verso l'astronave. Se qualcosa andava male o si commetteva qualche errore la responsabilità sarebbe stata sua. Perciò non gli restava che affidare l'incarico al Comandante in seconda, Mercer, che del resto, come Norton sapeva bene, era l'uomo più adatto a quella missione.
Mercer era un'autorità nel campo dei sistemi di sopravvivenza, e aveva scritto parecchi testi sull'argomento. Aveva controllato di persona innumerevoli tipi di equipaggiamenti, spesso in condizioni precarie, era famoso per la sua capacità di controllo del proprio corpo. Era capace in pochissimi secondi di ridurre al cinquanta per cento le pulsazioni, e la respirazione quasi a zero per una decina di minuti. Questo giochetto gli aveva salvato la vita in parecchie occasioni.
Però, nonostante la sua intelligenza e l'eccezionale abilità, mancava completamente di fantasia. Considerava gli esperimenti e le missioni più rischiose come semplici lavori che dovevano essere eseguiti. Non correva mai rischi inutili, e il significato della parola coraggio, nell'accezione generale del termine, gli era ignoto.
Due motti riassumevano la filosofia della sua vita. Uno era: Cos'hai dimenticato? e l'altro: No all'audacia. Il fatto che lo considerassero l'uomo più audace della flotta spaziale era l'unica cosa capace di mandarlo fuori dai gangheri.
Una volta scelto Mercer, il secondo membro della spedizione non poteva che essere il suo inseparabile amico, il tenente Joe Calvert. Apparentemente, i due non avevano niente in comune. L'ufficiale navigatore, un giovane alto e magro, aveva dieci anni di meno del suo robusto e impassibile amico, il quale non condivideva certo la sua passione per l'arte del cinema primitivo. Da alcuni anni Mercer e Calvert formavano una coppia inseparabile. Il che, a pensarci, non era poi tanto strano. Più strano era il fatto che avessero la stessa moglie in comune sulla Terra, moglie che aveva dato un figlio a entrambi. Doveva essere una donna eccezionale. Il triangolo funzionava da cinque anni, e tutto lasciava prevedere che avrebbe continuato a restare equilatero.
Ma due uomini non bastavano per un'esplorazione. Da tempo si era scoperto che l'optimum era una squadra di tre, perché se uno moriva o si smarriva, gli altri due avevano la possibilità di tornare sani e salvi, considerando che uno solo difficilmente sarebbe riuscito a sopravvivere. Dopo averci pensato e ripensato, Norton scelse il sergente tecnico Willard Myron, un genio meccanico capace di costruire qualsiasi cosa, o di progettarne di migliori. Myron era l'ideale quando si trattava di identificare parti meccaniche sconosciute. Myron, che stava usufruendo di un lungo congedo sabatico dal suo normale lavoro di professore all'astropolitecnico, aveva rifiutato i galloni di ufficiale motivando che non voleva ritardare la promozione di qualche ufficiale di carriera più meritevole di lui. Nessuno prese troppo seriamente questa spiegazione, perché tutti sapevano che Will non era per niente ambizioso. Forse, come sergente spaziale se la sarebbe cavata bene, ma non avrebbe mai potuto diventare un vero professore. Ma, come molti sottufficiali prima di lui, Myron aveva scoperto il compromesso ideale fra potere e responsabilità.