Incontro con Rama
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Come sar? il nostro primo incontro con una razza, una civilt? extraterrestre? Gli scettici dicono: non ci sar? mai. I pessimisti obiettano: gi? non riusciamo ad andare d'accordo fra noi, figurarsi con gli alieni. Nondimeno, milioni di uomini continuano a fantasticare appassionatamente su quel tema, e decine di scrittori a esplorarne tutte le varianti possibili. Questo Rama, questo corpo estraneo che si presenta un giorno nel nostro cielo, questo cilindro grandioso che ? astronave, relitto, museo, enigmatica e solenne cattedrale, si pu? considerare una delle invenzioni di maggior fascino mai create dalla fantascienza. E la bravura di Clarke, maestro di verosimiglianza cosmica, sta nel persuaderci col suo inimitabile piglio insieme avventuroso e scientifico, che si tratta anche di un'invenzione tutt'altro che «impossibile». Che proprio cos? andranno forse le cose, quando scoccher? l'ora del primo incontro.
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Ben presto fu evidente che non assorbiva solo energia. Non si poteva averne la certezza, perché gli strumenti di osservazione più vicini si trovavano a trenta milioni di chilometri di distanza, ma c'erano indizi probanti che dal Sole a Rama stava avvenendo un travaso di materia, come se i ramani volessero rifarsi dell'usura e delle perdite subite nel corso di diecimila secoli di viaggio nello spazio.
Rama girava sempre più in fretta intorno al Sole, muovendosi a una velocità che nessun corpo aveva mai raggiunto entro l'ambito del sistema solare. In meno di due ore la sua direzione aveva deviato di più di novanta gradi, e questa fu la prova decisiva, quasi sprezzante, del totale disinteresse nei riguardi di tutti i mondi che aveva coinvolto col suo ingresso nel sistema solare.
Stava uscendo dall'ellittica, precipitando nel cielo meridionale molto al di sotto del piano su cui si muovevano tutti i pianeti. Sebbene quella non potesse essere sicuramente la sua meta, puntava direttamente sulla più grande delle Nubi di Magellano, verso i solitari abissi al di là della Via Lattea.
46
— Avanti — disse distratto Norton sentendo bussare.
— Novità per te, Bill. Volevo dirtelo io prima che la notizia si diffondesse fra l'equipaggio. E poi è una cosa che rientra nel mio campo.
Norton era ancora immerso nei suoi pensieri. Se ne stava sdraiato con le mani intrecciate sotto la nuca, gli occhi socchiusi nella cabina in penombra, non proprio addormentato ma profondamente assorto in un sogno privato.
Ammiccò un paio di volte, tornando lentamente alla realtà.
— Scusami, Laura. Non ho afferrato. Cosa succede?
— Non dirmi che te n'eri scordato!
— Piantala di brontolare, noiosa. Come se non avessi avuto niente da pensare, ultimamente!
Il colonnello medico Ernst aprì una sediolina pieghevole e si sedette accanto a Norton.
— Le crisi interplanetarie vanno e vengono, ma la burocrazia marziana continua a marciare. Però credo che l'affare di Rama abbia dato una spinta. Meno male che non dovevi chiedere il permesso anche agli hermiani.
Norton cominciava a capire. — Oh!… Port Lowell ha dato il permesso?
— Non solo, ma è già in fase di attuazione — Laura sbirciò un foglietto che aveva in mano. — Il permesso ha valore immediato — lesse. — Probabilmente tuo figlio è già stato concepito. Congratulazioni.
— Grazie. Speriamo che non si sia seccato di aver dovuto aspettare tanto.
Come tutti gli astronauti, anche Norton era stato sterilizzato quando era entrato in servizio. Il pericolo di eventuali mutazioni provocate dalle radiazioni cosmiche non era da prendersi alla leggera, quando uno era costretto a passare quasi tutta la vita nello spazio. Più che un rischio, era una certezza. Gli spermatozoi conservati su Marte avevano aspettato per trent'anni nel congelatore il momento di essere utilizzati.
Norton si augurò di poter essere a casa in tempo per la nascita. Dopo tutto, nessun altro astronauta si era meritato una lunga licenza, e un periodo di riposo in seno alla famiglia, come se li era meritati lui. Adesso che la parte essenziale della missione era compiuta, cominciava a pensare a se stesso, alle sue famiglie e al loro avvenire. Sì, non vedeva l'ora di restare a casa per un po' a rifarsi del tempo perduto.
— Questa visita — dichiarò Laura — è puramente professionale.
— In tanti anni abbiamo imparato a conoscerci bene — ribatté Norton. — E poi adesso non sei in servizio.
Sapeva che un simile stato d'animo si stava diffondendo in tutta la nave. Sebbene fra poco sarebbero tornati a casa, l'orgia orbitale per la fine della missione era al suo apice.
— E adesso cosa pensi? — chiese Laura parecchio tempo dopo. — Spero che non starai diventando sentimentale.
— Oh, non ho nessuna intenzione di fare il sentimentale per quanto riguarda noi due. Ma penso a Rama, comincio ad averne la nostalgia.
— Grazie del complimento.
Norton l'abbracciò più stretta. Gli capitava spesso di pensare che uno dei vantaggi maggiori dell'assenza di peso era che si poteva abbracciare una donna tutta la notte senza che le braccia si intorpidissero. E c'era perfino chi proclamava che l'amore a un g era talmente faticoso da non riuscire più divertente.
— È un dato di fatto, Laura, che gli uomini, a differenza delle donne, sono capaci di seguire due corsi di pensieri. Ma sul serio, almeno abbastanza sul serio, ti assicuro che Rama mi manca. Provo un senso di vuoto.
— Questo posso capirlo.
— Non essere così clinica. No, non è questo che volevo dire… Non importa. — Rinunciò, perché era difficile spiegare, anche a se stesso.
La missione era riuscita al di là delle più rosee previsioni. Quello che lui e i suoi uomini avevano scoperto su Rama avrebbe dato da fare agli scienziati per generazioni. E, soprattutto, l'equipaggio non aveva subito perdite.
Eppure, sotto un altro punto di vista, la missione era stata un fiasco. Anche continuando a speculare all'infinito, la natura e i propositi dei ramani sarebbero rimasti per sempre un mistero. Si erano serviti del sistema solare come di una stazione di rifornimento, ignorandola completamente per il resto, tesi com'erano verso mete più importanti. Probabilmente, avrebbero ignorato per sempre l'esistenza della razza umana. Un'indifferenza così smaccata era molto peggio di un insulto deliberato.
Quando Norton aveva visto per l'ultima volta Rama, minuscola stella che si allontanava veloce oltre Venere, si era reso conto che una parte della sua vita era conclusa. Aveva cinquantacinque anni, ma sentiva di aver lasciato la sua gioventù sulla curva della Pianura Centrale, fra i misteri e le meraviglie che ora si allontanavano inesorabilmente dalla portata dell'uomo. Per quanti onori e soddisfazioni potesse riservargli il futuro, per tutto il resto della vita sarebbe stato perseguitato dal rimpianto e dall'insoddisfazione di tante occasioni perdute. Ma se ci avesse pensato meglio, non si sarebbe lasciato abbattere tanto.
E sulla lontanissima Terra, il dottor Carlisle Perera non aveva ancora detto a nessuno di essersi svegliato da un sonno agitato con questo messaggio del subconscio che gli echeggiava nel cervello:
I ramani fanno tutte le cose a tre per volta.