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American Gods

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American Gods
Название: American Gods
Автор: Gaiman Neil
Дата добавления: 16 январь 2020
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American Gods читать книгу онлайн

American Gods - читать бесплатно онлайн , автор Gaiman Neil

Shadow si ? fatto tre anni dentro. Sta per uscire ma proprio il giorno prima di tornare in libert? lo informano che sua moglie e il suo migliore amico sono morti in un misterioso incidente. Sull’aereo che lo riporta a casa, Shadow fa conoscenza con un enigmatico Mister Wednesday che gli offre di lavorare per lui. Shadow finisce per accettare: un lavoro gli risolve il problema di cosa fare della sua vita, anche se gli arriva da un vecchio bevitore di Jack Daniel’s dall’aria poco raccomandabile. Il contratto con il losco Mr Wednesday viene annaffiato da una bevuta di idromele, ma Shadow ci metter? ancora qualche tempo per capire chi siano in realt? il suo boss, i suoi compagni in affari, i suoi concorrenti, e ancora pi? tempo per capire in che gioco sia finito. Il vecchio baro corpulento, l’improbabile seduttore di ragazzine, il gran mangiatore e bevitore, l’uomo dall’eloquio torrenziale e dalla risata tonitruante ? Odino, Votan, Grimnir, il Padre di ogni cosa, la somma divinit? del pantheon nordico, arrivato in America secoli e secoli fa con una nave di vichinghi. Come lo slavo Chernobog, ridotto a vivere della pensione maturata negli anni di lavoro al macello di Chicago, come l’africano Anansi, come la celtica Easter e la mediterranea Bilqis che batte i marciapiedi di Hollywood, come tutte le divinit? maggiori o minori, anche Odino tira a campare e conduce l’esistenza grama di un dio privo di adoratori, dimenticato, in un mondo che ne venera altri, pi? belli e nuovi. E’ per muovere battaglia contro i nuovi d?i americani, quelli dei mass-media, di Internet e delle carte di credito che Wednesday ha arruolato Shadow ed ? per reclutare i compagni di lotta fra i colleghi del vecchio mondo che i due si metteranno ’on the road’ attraversando in lungo e in largo l’America pi? profonda, quella delle cittadine spopolate, dei motel persi nel nulla, delle riserve indiane degradate: un’America arciamericana ma al tempo stesso lontanissimada quella dei Nuovi D?i. Alla fine di questo lungo vagabondaggio che ha tutte le caratteristiche di un viaggio iniziatico, ci sar? la battaglia di proporzioni epiche in cui si sfogher? un conflitto vecchio quanto l’uomo, una battaglia che ha per oggetto la conquista dell’anima stessa dell’America…

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Un pensiero a metà: sperava che non stessero venendo a svegliarlo, a picchiarlo o a gridargli nelle orecchie. E poi, notò con piacere, stava davvero dormendo e non aveva più freddo.

Qualcuno nel suo sogno oppure fuori stava chiedendo aiuto a gran voce.

Dormendo rotolò sul materassino e nel muoversi si accorse di altri punti dolenti del corpo.

Lo stavano scrollando per una spalla.

Avrebbe voluto chiedere di non essere svegliato, che lo lasciassero dormire in pace, ma tutto quello che gli uscì di bocca fu un grugnito.

«Cucciolo?» chiamò Laura. «Ti devi svegliare. Ti prego, svegliati, caro.»

Fu un momento di leggero sollievo. Aveva fatto un sogno così strano, con la prigione e i detenuti e gli dèi male in arnese e adesso Laura lo stava svegliando per dirgli che era ora di andare a lavorare, e forse prima di uscire ci sarebbe stato tempo per una tazza di caffè e un bacio, o magari qualcosa di più di un bacio, e allungò una mano per toccarla.

Era fredda come il ghiaccio e la sua pelle era appiccicosa.

Aprì gli occhi.

«Da dove viene tutto questo sangue?» chiese.

«È di altra gente» rispose lei. «Non è mio. Io sono piena di formaldeide mista a glicerina e lanolina.»

«Quale altra gente?»

«Le guardie. E tutto a posto. Li ho ammazzati. Ma è meglio sbrigarsi. Credo di non aver lasciato a nessuno il tempo di dare l’allarme. Prendi un cappotto, altrimenti ti si congela il sedere.»

«Li hai ammazzati?»

Laura scrollò le spalle e fece un mezzo sorriso impacciato. Sembrava che avesse dipinto con le dita un’opera interamente rossa; aveva macchie rosse sul viso e sui vestiti (lo stesso tailleur blu con cui era stata sepolta) e a Shadow fece venire in mente Jackson Pollock, perché era meno problematico pensare a Pollock che accettare l’alternativa.

«Da morti, uccidere diventa più facile» gli spiegò. «Non è poi tutta questa tragedia, voglio dire. Non si hanno più tanti pregiudizi.»

«Per me è ancora una tragedia» disse Shadow.

«Vuoi stare qui ad aspettare che arrivino quelli del turno di giorno?» gli chiese lei. «Puoi farlo, se vuoi. Credevo che volessi scappare.»

«Penseranno che sia stato io» disse lui, stupidamente.

«Può darsi. Adesso mettiti un cappotto, caro. Altrimenti gelerai.»

Shadow imboccò il corridoio e in fondo vide una stanza. Dentro c’erano quattro cadaveri: tre guardie e l’uomo che aveva detto di chiamarsi Stone. Il suo amico Wood non era nei paraggi. Dalle strisce di sangue sul pavimento due uomini erano stati trascinati nella stanza e lasciati cadere per terra.

All’attaccapanni era appeso anche il suo cappotto. Il portafogli era ancora nella tasca interna, apparentemente intatto. Laura aprì un paio di scatole piene di merendine.

Le guardie, adesso Shadow riusciva a vederle bene, indossavano tute mimetiche scure ma prive di targhette ufficiali, niente che rivelasse per chi lavoravano. Avrebbero perfino potuto essere cacciatori di anatre, vestiti per la battuta domenicale.

Laura tese una mano gelida e strinse quella di Shadow. Portava intorno al collo la moneta d’oro che lui le aveva regalato, infilata in una catenina.

«Ti sta bene» le disse.

«Grazie.» Laura sorrise con garbo.

«Che ne è stato degli altri, Wednesday, e tutti quanti? Dove sono?» Laura gli porse una manciata di merendine e lui se ne riempì le tasche.

«Qui non c’era nessun altro. Un mucchio di celle vuote e una con dentro te. Oh, e uno degli uomini era andato a farsi una sega in una cella là in fondo portandosi una rivista. Gli è preso un colpo.»

«Lo hai ammazzato mentre si stava masturbando?»

Laura scrollò le spalle. «Credo di sì» disse, a disagio. «Avevo paura che ti facessero del male. Qualcuno ti deve pur proteggere, e ti avevo detto che lo avrei fatto io, giusto? Tieni, prendi questi.» Erano scaldini chimici: cuscinetti sottili, rompevi il sigillo e si riscaldavano e restavano caldi per ore. Shadow infilò in tasca anche quelli.

«Proteggermi? Sì» disse, «lo hai fatto.»

Lei lo accarezzò con un dito sul sopracciglio sinistro. «Sei ferito.»

«Niente di grave.»

Aprì una porta di metallo. Il battente si mosse lentamente. C’era un salto di più di un metro fino a terra e Shadow cadde su una superficie che sembrava ghiaiosa. Afferrò Laura alla vita, la fece volteggiare come faceva un tempo, con facilità, senza riflettere…

La luna spuntò dietro una nuvola densa. Era bassa all’orizzonte, pronta a sorgere, ma la luce che gettava sulla neve era sufficiente per vedere.

Erano saltati giù dalla carrozza dipinta di nero di un lungo treno merci parcheggiato o abbandonato su un binario di raccordo in un terreno boscoso. Le carrozze si perdevano a vista d’occhio in mezzo agli alberi. Lo avevano imprigionato in un treno. Ci sarebbe dovuto arrivare prima.

«Come diavolo hai fatto a trovarmi?» chiese alla sua defunta moglie.

Laura scosse la testa divertita. «Brilli come una stella nell’oscurità. Non è stato difficile. Adesso vai. Va’ il più lontano e il più in fretta possibile. Se non usi le carte di credito andrà tutto bene.»

«E dove dovrei andare?»

Lei si passò una mano tra i capelli sporchi di sangue, per allontanarli dagli occhi. «La strada è da quella parte» disse. «Fai del tuo meglio. Ruba una macchina, se è necessario. Vai verso sud.»

«Laura» cominciò Shadow, poi ebbe un attimo di esitazione prima di riprendere. «Ma tu sai che cosa sta succedendo? Sai chi è questa gente? Sai chi hai ucciso?»

«Sì. Credo di saperlo.»

«Ti devo la vita» disse lui. «Se non fossi venuta tu sarei ancora lì dentro. E non penso che avessero in serbo qualcosa di buono, per me.»

«No. Non credo proprio.»

Si allontanarono dai vagoni vuoti e Shadow pensò a tutti i treni che aveva visto passare, altri vagoni di metallo senza finestre che correvano solitari nella notte, preceduti, chilometro dopo chilometro, dal grido della sirena. Strinse il dollaro della Libertà che teneva in tasca e ripensò a Polunochnaja Zarja, al modo in cui lo aveva guardato, al chiaro di luna. Le hai chiesto che cosa voleva? È la cosa più saggia da chiedere ai morti. A volte te lo dicono.

«Laura… Che cosa vuoi?» chiese.

«Davvero lo vuoi sapere?»

«Sì. Ti prego.»

Lei lo guardò con i suoi occhi azzurri e morti. «Voglio tornare a vivere» disse. «Non voglio questa mezza vita. Voglio essere viva per davvero. Voglio sentire il cuore che mi batte nel petto, il sangue che mi scorre nelle vene, caldo, salato e reale. È strano, uno non crede di sentirlo scorrere, il sangue, ma quando smette te ne accorgi.» Si strofinò gli occhi imbrattandosi la faccia con le mani sporche di sangue. «Credimi, è dura. Sai perché i morti escono soltanto di notte, cucciolo? Perché è più facile spacciarsi per vivi, al buio. E io non voglio dovermi spacciare. Voglio essere viva per davvero.»

«Non capisco che cosa vuoi da me.»

«Fallo succedere, caro. Trova il modo. So che ce la farai.»

«Va bene. Ci proverò. E se trovassi il modo come farò a trovare te?»

Ma Laura se n’era andata e nel bosco era rimasto soltanto il grigio chiarore del cielo a indicargli dov’era l’oriente e, portato dal pungente vento dicembrino, un lamento solitario che forse era il grido dell’ultimo uccello notturno o il richiamo del primo uccello dell’alba.

Shadow si voltò con la faccia verso sud e cominciò a camminare.

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