La verita del ghiaccio
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Un meteorite, sepolto sotto i ghiacci del circolo polare artico, ? stato localizzato dalla Nasa e sembra contenga fossili di insetti che proverebbero una volta per tutte l'esistenza di vite extraterrestri. Prima di divulgare la notizia, il presidente degli Stati Uniti vuole essere sicuro dell'autenticit? della scoperta, anche per non compromettere la sua futura (ma gi? incerta) rielezione. La giovane Rachel Sexton e il professor Michael Tolland sono inviati sul posto insieme ad altri studiosi ma presto si rendono conto che si tratta di una truffa colossale, orchestrata ad arte. Ma da chi? E chi ha assoldato la banda di killer che li ha presi di mira, costringendoli a scappare e a rifugiarsi tra i banchi galleggianti di ghiaccio?
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Dan Brown
La verità del ghiaccio
Se confermata, questa scoperta costituirebbe uno dei più sensazionali passi avanti compiuti dalla scienza sulla strada della conoscenza del nostro universo, con conseguenze di enorme portata. Mentre promette di rispondere ad alcuni dei più antichi interrogativi, ne solleva altri fondamentali per il nostro futuro.
Conferenza stampa del presidente Bill Clinton in seguito alla scoperta nota come ALH84001, 7 agosto 1996
Nota dell'autore
La Delta Force, il National Recormaissance Office e la Space Frontier Foundation esistono nella realtà, così come tutte le tecnologie descritte in questo romanzo.
PROLOGO
La morte, in quel luogo remoto, poteva arrivare sotto innumerevoli forme. Il geologo Charles Brophy conviveva da anni con il fascino selvaggio di quel territorio, eppure nulla lo aveva preparato al destino barbaro e innaturale che stava per abbattersi su di lui.
I quattro husky che trainavano nella tundra la slitta carica di strumenti per le rilevazioni geologiche all'improvviso rallentarono, con il muso rivolto al cielo.
«Cosa c'è, ragazze?» chiese Brophy, scendendo dalla slitta.
Tra le nubi in rapido addensamento, un elicottero birotore da trasporto si abbassava in ampi cerchi costeggiando i picchi di ghiaccio con militaresca perizia.
"Strano" pensò. "Mai visti elicotteri tanto a nord." Il mezzo atterrò a una trentina di metri da lui, sollevando spruzzi pungenti di neve granulosa. I cani presero a guaire, irrequieti.
Si aprì il portello e dall'elicottero scesero due uomini in tuta termica bianca, armati di fucile, che puntarono decisi verso di lui.
«Il dottor Brophy?» chiese uno.
Il geologo rimase interdetto. «Come fate a conoscere il mio nome? Chi siete?»
«Tiri fuori la radio, per favore.»
«Prego?»
«Faccia come le dico.»
Sconcertato, Brophy estrasse la radio dal parka.
«Deve trasmettere per conto nostro una comunicazione di emergenza. Diminuisca la frequenza a cento chilohertz.»
"Cento chilohertz?" Brophy non capiva. "Impossibile ricevere a una frequenza così bassa." «C'è stato un incidente?»
Il secondo uomo sollevò il fucile per puntarglielo alla testa. «Non c'è tempo per le spiegazioni. Si limiti a fare come le viene detto.»
Con mani tremanti, Brophy regolò la frequenza.
Il primo uomo gli porse un foglietto su cui erano scritte poche righe. «Trasmetta questo messaggio. Subito.»
Brophy lo lesse. «Non capisco. Questa informazione è sbagliata. Io non ho…»
L'uomo gli premette la canna del fucile contro la tempia.
In preda all'agitazione, Brophy trasmise lo strano messaggio.
«Bene» disse il primo. «Ora salga in elicottero con i cani.»
Con l'arma puntata contro, il geologo spinse gli husky riluttanti e la slitta su per la rampa che conduceva al vano di carico. Non appena si furono sistemati, l'elicottero si alzò in volo per dirigersi verso ovest.
«Chi diavolo siete?» chiese Brophy, cominciando a sudare. «E cosa significava quel messaggio?»
Nessuna risposta.
Mentre l'elicottero guadagnava quota, il vento penetrava con forza dal portello aperto. I quattro husky, ancora legati alla slitta carica, presero a uggiolare.
«Almeno chiudete il portello» disse Brophy. «Non vedete che i cani sono spaventati?»
Nessuna risposta.
Raggiunti i milleduecento metri, il velivolo si inclinò bruscamente su una serie di crepacci di ghiaccio. All'improvviso, gli uomini si alzarono. Senza una parola, agguantarono la pesante slitta e la scaraventarono fuori dal portello. Brophy guardò inorridito i cani che tentavano invano di resistere all'enorme peso che li trascinava fuori. Un istante dopo, gli animali scomparvero ululando nel vuoto.
Brophy scattò in piedi gridando. Gli uomini lo afferrarono e lo trascinarono verso il portello. Annebbiato dal terrore mulinò i pugni, cercando di allontanare le forti mani che lo spingevano fuori.
Non servì a nulla. Qualche istante più tardi, Charles Brophy precipitava nel baratro sottostante.
1
Il ristorante Toulos, vicino a Capitol Hill, vanta un menu politicamente scorretto di vitello da latte e carpaccio di cavallo, che ironicamente lo rende un posto di grande richiamo per la quintessenza del potere di Washington. Quel mattino era molto affollato: una cacofonia di acciottolio di posate, sbuffi della macchina per l'espresso e conversazioni al cellulare.
Il maitre stava bevendo furtivamente un sorso del consueto Bloody Mary del mattino quando entrò la donna. Si voltò con un sorriso per il quale si era esercitato degli anni. «Buongiorno, posso esserle utile?»
La donna era attraente, sui trentacinque anni, pantaloni grigi di flanella dalla piega perfetta, mocassini classici, camicetta avorio di Laura Ashley, postura eretta — mento lievemente sollevato -, non arrogante ma semplicemente determinata. Capelli castano chiaro acconciati nello stile più in voga di Washington — quello della "anchorwoman", un morbido caschetto a sfiorare le spalle — abbastanza lunghi da essere sexy, ma sufficientemente corti da lasciare intendere che forse aveva più cervello di te.
«Sono un po' in ritardo» disse con semplicità. «Ho appuntamento per colazione con il senatore Sexton.»
Il maitre avvertì un imprevisto fremito di nervosismo. Il senatore Sedgewick Sexton. Un cliente abituale e, al momento, uno degli uomini più famosi del paese. Uscito trionfatore la settimana precedente nelle primarie repubblicane nel Super Martedì, aveva ormai praticamente in tasca la nomination del partito per la presidenza degli Stati Uniti. Erano in molti a ritenere che avesse ottime probabilità di sottrarre la Casa Bianca nelle elezioni d'autunno al bersagliato presidente in carica. Negli ultimi giorni, il volto di Sexton era comparso su tutte le riviste e il suo slogan elettorale tappezzava l'America: "Stop alla spesa. Cominciamo la ripresa".
«Il senatore è al suo tavolo» annunciò il maitre. «Lei è…?»
«Rachel Sexton, sua figlia.»
"Che cretino" si disse. La somiglianza era evidente. Gli stessi occhi penetranti e il portamento elegante del senatore. La stessa aria aristocratica consolidata. Nel loro caso, il bell'aspetto non aveva saltato una generazione, e anzi Rachel Sexton sembrava portare le sue doti con una grazia e una modestia da cui il padre avrebbe potuto imparare.
«È un piacere averla qui, signora.»
Guidò la figlia del senatore nella sala da pranzo, imbarazzato dal fuoco incrociato di sguardi maschili che la seguivano… alcuni discreti, altri meno. Poche donne pranzavano al Toulos e nessuna era attraente come Rachel Sexton.
«Bel corpo» sussurrò un cliente. «Sexton si è già trovato un'altra moglie?»
«È sua figlia, idiota» replicò un altro.
L'uomo si mise a ridere. «Conoscendolo, Sexton non esiterebbe a scoparsi pure lei.»
Quando Rachel arrivò al tavolo, il padre commentava al cellulare uno dei suoi recenti successi. Alzò lo sguardo per un attimo, poi batté sul suo Cartier per farle presente che era in ritardo.
"Anche tu mi sei mancato" pensò Rachel.
Il primo nome del senatore era Thomas, ma Sexton da molto tempo aveva adottato il secondo nome. Rachel sospettava che fosse perché gli piaceva l'allitterazione. Senatore Sedgewick Sexton. Era un uomo brizzolato, dalla parlantina sciolta, un animale politico provvisto della bella presenza di un medico di soap opera, assolutamente appropriata considerato il suo talento come attore.
«Rachel!» Il senatore spense il cellulare e si alzò per baciare la figlia sulla guancia.