Lombra della maledizione
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Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
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La mente di Cazaril sembrò esplodere.
Si ritrovò ad aprirsi sempre più verso l’esterno, fino ad avere l’impressione che il mondo giacesse sotto di lui, come visto dall’alto di una montagna. Quello non era però il regno della materia, bensì un panorama di sostanza spirituale, fatto di colori cui non riusciva a dare un nome e di una luminosità devastante, che lo stava sollevando in una gloriosa turbolenza. Sentiva le menti del mondo sussurrare in un sospiro, simile all’alito del vento che soffiasse in una foresta… ammesso di poter distinguere, simultaneamente e separatamente, il canto di ciascuna foglia. E poteva anche udire tutte le grida di dolore e di cordoglio, di vergogna e di gioia, percepire ogni speranza e aspirazione… Mille migliaia di momenti di mille migliaia di vite che si stavano riversando attraverso il suo spirito sempre più dilatato.
Dalla superficie che si stendeva sotto di lui, piccole bolle di colore stavano emergendo a una a una, fluttuando in una danza a spirale, a centinaia e poi a migliaia, simili a grandi gocce di pioggia dirette verso l’alto… Morire significa dunque riversarsi attraverso le lacerazioni del mondo in questo luogo. Le anime generate dalla sostanza terrena andavano incontro, morendo, a questa strana, nuova nascita. È troppo, troppo, troppo… La sua mente non riuscì a contenere tutto e le visioni esplosero, allontanandosi da lui come acqua che gli colasse tra le dita.
Un tempo, nelle sue incerte elucubrazioni giovanili, aveva pensato che la Signora della Primavera fosse una giovane donna attraente, e gli insegnamenti dei Divini e di Ordol non avevano sostanzialmente modificato quell’idea. Quella Mente, invece, ascoltava in contemporanea ogni grido e canto del mondo. Osservava le anime salire in una spirale in tutta la loro terribile, complessa bellezza, con la gioia di un giardiniere che respirasse il profumo dei suoi fiori. E adesso quella Mente stava rivolgendo la sua attenzione su di lui.
Cazaril si sciolse e si trovò racchiuso tra le sue mani, poi gli parve che lei bevesse il fluido che lui era diventato, staccandolo dalla catena formata dai fratelli dy Jironal e dal demone, che vennero proiettati altrove, mentre lui veniva soffiato fuori dalle labbra di lei e proiettato di nuovo, in una spirale sempre più stretta, attraverso la grande lacerazione nel tessuto del mondo che si era creata nel momento della sua morte, tornando nel proprio corpo nel momento in cui la lama di dy Jironal gli usciva infine dalla schiena, col sangue che fioriva intorno alla sua punta come i petali di una rosa.
E adesso mettiamoci all’opera, sussurrò la Signora. Apriti a me, dolce Cazaril.
Posso guardare? domandò lui, con voce tremula.
È permesso, almeno finché riuscirai a tollerarlo.
Cazaril si abbandonò, pervaso da una sorta di languore, mentre la Dea fluiva attraverso lui e nel mondo, poi le labbra gli s’incurvarono in un sorriso, o almeno cercarono di farlo, perché il suo corpo fisico era ancora rallentato nei movimenti al pari di quello degli altri uomini nel cortile. A tutti sembrò che soltanto in quell’istante lui si stesse accasciando sulle ginocchia. Davanti a lui, il cadavere di dy Jironal non era ancora crollato a terra, anche se, negli spasimi della morte, la sua mano aveva abbandonato la presa sulla spada. Poco lontano, dy Cembuer si stava sollevando sul braccio sano, la bocca aperta in un urlo che prima o poi sarebbe scaturito dalle sue labbra, suonando come «Cazaril!» e tutt’intorno gli uomini si stavano prostrando al suolo o si davano alla fuga.
Sotto i suoi occhi, la Dea trasse a sé la maledizione di Chalion, come se si fosse trattato di uno spesso filo di lana nera che Lei raggomitolò nelle mani, rimuovendola da Iselle e da Bergon, che si trovavano da qualche parte nelle strade di Taryoon, da Ista a Valenda e da Sara a Cardegoss, estraendola dalla terra di Chalion, da montagna a montagna, da fiume a pianura, senza però che Cazaril riuscisse a scorgere anche Orico in mezzo a quella nebbia scura. La Signora fece poi scorrere attraverso Cazaril quella sorta di lana nera, lo usò come un portale per fluire nell’altro regno, dove la sua oscurità scomparve ed essa diventò qualcosa di diverso… Cazaril non avrebbe saputo dire se un filo o un flusso di scintillante acqua limpida, di vino o di qualcosa di ancor più meraviglioso.
Un’altra Presenza, solenne e grigia, era in attesa e raccolse quel flusso, assorbendolo con un sospiro che esprimeva sollievo, completamento, equilibrio. Quello era il sangue di un Dio, versato, contaminato, assorbito, ripulito e finalmente restituito…
Non capisco. Ista si è sbagliata? Oppure ho sbagliato io a calcolare le mie morti? chiese Cazaril.
Pensaci bene… rise la Dea.
Poi quella vasta Presenza si riversò fuori del mondo, attraversandolo come un fiume che finisse in una cascata, accompagnata da una musica trionfante la cui bellezza, lui comprese con un senso di rammarico, non avrebbe potuto ricordare appieno finché non fosse giunto di nuovo nel suo regno. Infine, la grande lacerazione si chiuse, risanata e sigillata.
Bruscamente, tutto svanì.
Il tonfo delle pietre contro le sue ginocchia accompagnò il ritorno delle sensazioni fisiche, e lui lottò disperatamente per rimanere diritto, appoggiandosi all’indietro sui talloni, in modo da non spingere ulteriormente la spada attraverso il proprio corpo. Davanti a sé, vedeva l’elsa e una spanna di lama; il resto gli attraversava il torace con un’angolazione verso l’alto a partire dallo stomaco, appena sotto e a sinistra rispetto all’ombelico. Quanto alla punta, sembrava trovarsi da qualche parte, più in alto e sulla destra rispetto alla spina dorsale. E adesso stava sopraggiungendo il dolore.
Quando tentò di trarre un primo, tremante respiro, l’arma oscillò leggermente, e un odore di carne cauterizzata gli assalì le narici, insieme con un profumo celestiale, come di fiori primaverili. Sebbene cercasse di rimanere immobile, Cazaril prese a tremare, sconvolto, attraversato da un senso di gelo.
D’un tratto, si trovò a lottare contro l’assurdo bisogno di ridere, cosa che gli avrebbe fatto ancora più male. L’odore di carne bruciata non giungeva esclusivamente dal suo corpo. Il cadavere di dy Jironal era disteso davanti a lui, coi capelli e gli abiti che fumavano. Pur avendo già visto cadaveri carbonizzati, quella era la prima volta che Cazaril ne vedeva uno bruciato dall’interno.
Poi la sua attenzione fu attratta da un ciottolo accanto al suo ginocchio. Un oggetto così denso e costante… Gli Dei non potevano sollevare neppure una piuma ma lui, un semplice umano, poteva raccogliere quel ciottolo antico e immutabile e metterlo ovunque avesse voluto, perfino nella propria tasca. Si chiese come mai non avesse mai apprezzato prima la cocciuta tenacia della materia e, in quell’istante, scorse una foglia secca, la cui complessità era ancora più sconvolgente. La materia inventava forme, e continuava a generare bellezza al di là di se stessa. Era una fonte di stupore per gli Dei, ricordava se stessa con chiarezza assoluta. Com’era possibile che non se ne fosse mai accorto? Perfino la sua mano tremante era un miracolo, come lo erano la spada conficcata nel suo ventre, gli alberi di arancio nei vasi — uno dei quali si era rovesciato ed era meravigliosamente rotto, un misto di terra e cocci — e i vasi stessi, il canto degli uccelli al mattino e l’acqua… L’acqua! Per i cinque Dei, l’acqua della fontana, e la luce del mattino che filtrava dal cielo…
«Lord Cazaril?» chiamò una voce debole, che proveniva da un punto accanto al suo gomito.
Lanciando un’occhiata in quella direzione, Cazaril vide che dy Cembuer era riuscito a strisciare fino a lui.
«Cos’è successo?» domandò il nobile ibrano, prossimo alle lacrime.
«Abbiamo assistito ad alcuni miracoli», rispose Cazaril. Troppi miracoli in un posto solo e in un solo momento, tanti che ne era sopraffatto. Riempivano il suo sguardo ovunque lo volgesse.