Lombra della maledizione
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Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
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«L’Arcidivino di Cardegoss sa tutto sul mio conto», spiegò subito Cazaril all’Arcidivino di Taryoon.
«Oh», mormorò questi, sollevato, e aggiunse: «Mendenal è una persona eccellente».
Pur ritenendo che la sua fiducia fosse malriposta, Cazaril preferì non obiettare. «A quanto vedo, il Padre dell’Inverno vi ha elargito qualche dono», osservò, rivolto al giudice. «Di cosa si tratta?»
«Be’, talvolta… mi permette di sapere chi sta mentendo e chi sta dicendo il vero, nella mia camera di giustizia», rispose Paginine. «Questo non è sempre un bene, contrariamente a quanto si potrebbe pensare.»
La risposta di Cazaril fu una breve, amara risata, in reazione alla quale Paginine s’illuminò visibilmente.
«Ah, vedo che capite», commentò poi, con un sorrisetto teso.
«Oh, sì.»
«Però voi, signore…» continuò Paginine, turbato. «Vi ho definito come toccato dagli Dei, ma ciò non descrive neppure lontanamente quello che vedo. Guardarvi… mi fa quasi dolere gli occhi. Da quando mi è stata concessa la seconda vista, ho incontrato tre persone afflitte dagli Dei come voi, ma non ho mai visto nulla di simile.»
«A Cardegoss, il santo Umegat ha detto che sembravo una città in fiamme», ammise Cazaril.
«È… una descrizione adeguata», convenne Paginine, scoccandogli un’occhiata in tralice.
«Le parole di Umegat lo erano sempre», replicò Cazaril, pensando: Già, un tempo lo erano davvero.
«Qual è la natura del vostro dono?»
«Io… ecco, credo di essere io il dono per la Royesse Iselle.»
«Questo spiega le storie che circolano sul vostro conto», mormorò l’Arcidivino, portandosi una mano alle labbra e affrettandosi a segnarsi.
«Quali storie?» esclamò Cazaril, sconcertato.
«Ditemi, Lord Cazaril, cos’è quella terribile ombra che avvolge la Royesse Iselle?» interloquì il giudice. «Non è di certo una manifestazione degli Dei e non ha nulla di buono. La vedete anche voi?»
«Io… me ne sto occupando. Pare che eliminare quell’orrore sia il compito che gli Dei mi hanno assegnato, ma credo di aver quasi finito.»
«Oh, saperlo è un vero sollievo», dichiarò Paginine, mostrandosi molto più sereno.
D’un tratto, Cazaril si rese conto che quello che avrebbe voluto era trarre in disparte Paginine per parlare del loro comune incarico, per chiedergli come affrontava le manifestazioni legate al suo stato. Forse l’Arcidivino era una persona devota, un buon amministratore e magari anche un erudito teologo, però era difficile che comprendesse i disagi che si accompagnavano al mestiere di santo. Il sorriso amaro di Paginine, invece, era stato quanto mai rivelatore… Quello che Cazaril voleva era ubriacarsi in sua compagnia e confrontarsi con lui.
«Benedetto Signore», sussurrò d’un tratto l’Arcidivino, con un profondo inchino che imbarazzò profondamente Cazaril. «C’è qualcosa che posso fare per voi?»
La domanda di Betriz — Avete scoperto come salvare voi stesso? — riecheggiò nella mente di Cazaril, inducendolo a pensare che forse non ci si poteva salvare da soli, che magari era necessario salvarsi a vicenda. «Stanotte no», rispose. «Però domani… o più avanti nel corso della settimana, c’è una questione personale che mi piacerebbe sottoporvi, se è possibile.»
«Certamente, Benedetto Signore. Sono al vostro servizio.»
Tornarono quindi alla festa. Esausto, Cazaril desiderava soltanto poter andare a letto, ma il cortile sottostante la sua camera era invaso da invitati intenti a far baldoria. Eccitata e affannata, Betriz venne a chiedergli di danzare con lei, invito che lui declinò con un sorriso, ben sapendo che comunque i cavalieri non le mancavano. La giovane continuò tuttavia a tenerlo d’occhio, mentre lui, seduto vicino al muro, sorseggiava una coppa di vino annacquato e parlava con varie persone, chiaramente interessate a un impiego presso la corte della futura Royina. Alle loro velate richieste, Cazaril rispose invariabilmente in tono cortese, ma senza promettere nulla.
Nel frattempo, le dame di Chalion si accalcavano intorno ai nobili ibrani come formiche intorno a un vasetto di miele rovesciato. A un certo punto, poi, sopraggiunse anche Lord dy Cembuer e l’atmosfera divenne, se possibile, ancora più allegra. I giovani ibrani presero a descrivere il loro viaggio, suscitando un estremo interesse negli affascinati ascoltatori di Chalion. Cazaril fu oltremodo soddisfatto di quei racconti avventurosi, che facevano apparire Bergon come un eroe. Ma anche Iselle, in seguito alla sua fuga notturna da Valenda, venne ben presto considerata un’eroina. Quella doppia aura di leggenda avrebbe senza dubbio stroncato sul nascere la diceria, creata da dy Jironal, di «Iselle la Folle», anche perché aveva solide radici nella realtà dei fatti.
Finalmente giunsero l’ora e la cerimonia che Cazaril aveva atteso con velata impazienza. Bergon e Iselle vennero scortati fino alla loro camera nuziale e, con soddisfazione, Cazaril notò che nessuno dei due aveva bevuto tanto da perdere il controllo. Dal canto suo, dato che la quantità di acqua aggiunta al vino si era ridotta nel corso della serata, si ritrovò ad avere la lingua un po’ impastata quando il Royse e la Royesse lo convocarono ai piedi della scalinata per dare e ricevere i cerimoniali baci di ringraziamento sulle mani. Commosso, Cazaril si segnò e invocò una speranzosa benedizione sulla testa di entrambi, ottenendo in cambio uno sguardo in cui si leggeva una così intensa e solenne gratitudine da lasciarlo sconvolto.
Grazie alla previdenza di Lady dy Baocia, un piccolo coro di cantori di preghiere accompagnò la coppia lungo le scale, soffocando in buona parte, con le sue voci cristalline, la cacofonia di licenziosi suggerimenti che giungeva dal basso. Soffusa in volto di un delicato rossore, con gli occhi che brillavano come stelle, Iselle si affacciò infine dall’alto della galleria insieme con Bergon, rivolgendo a tutti un sorriso di ringraziamento accompagnato da una piccola pioggia di fiori. Poi gli sposi scomparvero nell’appartamento nuziale, le porte si chiusero alle loro spalle e due ufficiali baociani presero posto sulla galleria per proteggere il riposo della coppia. Di lì a poco, tutti i servi e gli assistenti uscirono dall’appartamento, inclusa Betriz, che venne immediatamente requisita da Palli e da dy Tagille per altri giri di danza.
I festeggiamenti si protrassero fino all’alba, ma, con sollievo di Cazaril, una pioggerella sottile cominciò ben presto a cadere, costringendo musici e ballerini ad abbandonare il cortile su cui si affacciava la sua stanza per rifugiarsi nell’edificio vicino. Aggrappandosi alla ringhiera, Cazaril salì le scale verso la sua camera, sul lato della galleria opposto rispetto all’appartamento del Royse e della Royesse. Il mio dovere si è concluso, pensava. Che farò, adesso? Non ne aveva la minima idea. Sapeva soltanto che un immenso terrore sembrava svanito dal suo animo. Lui sarebbe vissuto e morto a causa delle scelte fatte… e degli errori commessi. Rifiuto di avere rimpianti, e non intendo guardarmi alle spalle, si disse.
Quello era un momento di equilibrio, la cuspide tra passato e futuro.
L’indomani, sarebbe andato a cercare quel piccolo giudice, la cui compagnia avrebbe forse dato sollievo alla sua solitudine.
A dire il vero, non sono solo, non abbastanza, pensò di lì a poco, quando gli incoerenti, osceni ululati di Dondo, liberati come sempre nell’ora della sua morte, presero a ruggire nella sua mente. Quella notte, lo spettro sembrava in preda a una furia più selvaggia che mai, tanto che le ultime vestigia di sanità mentale che esso conservava parevano essersi del tutto dissolte. Immaginando il motivo di quella rabbia, e nonostante il dolore che gli straziava il ventre, Cazaril non poté fare a meno di sorridere.
La violenza di quell’aggressione era tale che quasi perse i sensi. Poi però si costrinse a riscuotersi, terrorizzato dalla possibilità che Dondo, scatenato com’era, potesse impadronirsi del suo corpo mentre lui era ancora vivo e usarlo per qualche vile attacco ai danni di Iselle e di Bergon. Per parecchio tempo si contorse sul freddo pavimento di legno, reprimendo le urla e le oscenità che cercavano di uscirgli dalla bocca, senza più sapere con certezza a chi appartenessero quelle parole.