Lombra della maledizione
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Da una grande maestra della narrativa fantastica, pi? volte vincitrice del premio Hugo, un potente racconto di mistero, magia e tradimento. Il destino di un cavaliere, della sua stirpe e di un regno tormentato. Provato nel corpo e nello spirito da una lunghissima prigionia, il comandante Lupe dy Cazaril ritorna nel regno di Chalion, in cui aveva servito come paggio, e viene nominato tutore di Royesse, bella e intelligente sorella dell’erede al trono. Ma quell’occasione di riscatto si trasforma presto in un incubo, poich? Cazaril scopre che a corte proprio quegli uomini che lo hanno tradito ora occupano posti di grande potere. E scopre soprattutto che l’intera stirpe di Chalion ? gravata da una terribile maledizione, che non pu? essere annullata se non con la magia pi? nera…
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Cazaril si ritrovò inginocchiato sulle pietre gelide, con la spada che tintinnava ancora debolmente dopo essere sfuggita alle sue dita, d’un tratto inerti. Il tremito che lo scuoteva era così violento da rendergli impossibile rialzarsi, la bile gli colava dalla bocca contratta, e ondate di nausea gli devastavano l’addome gonfio e pulsante. Sulla punta della sua spada, abbandonata a terra, il sangue di dy Joal, diventato nero, sembrava emettere una scia di vapore.
Dentro di lui, Dondo gemeva e ululava in preda all’ira e alla frustrazione. Lentamente, tuttavia, quei richiami andarono scemando, fino a cessare del tutto; quanto al demone, si era riadagiato nel suo ventre come un gatto in caccia, teso e guardingo. Dolorante, Cazaril provò a chiudere e ad aprire più volte la mano, per verificare se aveva ancora il controllo del proprio corpo.
Sembrava proprio che il demone della morte non fosse particolarmente schizzinoso riguardo alle anime con cui riempire i suoi secchi, a patto che fossero due: quella di Cazaril e quella di Dondo, oppure quella di Cazaril e quella di un altro assassino… o di un’altra vittima? Lui non avrebbe saputo dirlo, e non riteneva neppure che avesse importanza, date le circostanze. Dondo aveva sperato di rimanere aggrappato al suo corpo e di far strappare via l’anima di Cazaril, cosa che lo avrebbe lasciato in possesso del territorio conteso, se così si poteva dire. Ciò significava che gli intenti di Dondo e quelli del demone non coincidevano. Il demone pareva disposto ad accontentarsi della morte di Cazaril, comunque si fosse verificata, mentre Dondo voleva un assassinio.
Accasciato a terra, senza più forze, con le lacrime che gli filtravano da sotto le palpebre, Cazaril si rese conto che intorno a lui il chiasso era cessato. Una mano gli toccò una spalla, strappandogli un sussulto, e la voce spaventata di Foix gli risuonò all’orecchio. «Mio signore? Mio signore, siete ferito?»
«Non… sono ferito», ansimò Cazaril, sbattendo le palpebre e protendendo una mano verso la sua spada, ma solo per ritraila di scatto perché era rovente. Ferda sopraggiunse in quell’istante e, benché tremasse visibilmente, i fratelli dy Gura riuscirono a sollevarlo.
«Siete certo di star bene?» domandò Ferda. «A Cardegoss, quella dama dai capelli neri ci ha promesso che la Royesse ci avrebbe fatto staccare le orecchie, se non vi avessimo riportato da lei vivo.»
«Sì», confermò Foix. «E ha aggiunto che dopo lei avrebbe usato la nostra pelle per farci un tamburo.»
«La vostra pelle è salva, almeno per ora», garantì Cazaril, raddrizzandosi un poco e guardandosi intorno con sguardo ancora un po’ vacuo. Un servitore che sembrava più un sergente maggiore, stava minacciando con la spada una mezza dozzina di bravacci, distesi al suolo in segno di resa; altri tre banditi sedevano a ridosso del muro della stalla, gementi e sanguinanti, e un altro servitore stava trascinando nel centro del cortile il cadavere del balestriere.
Accigliandosi, Cazaril abbassò lo sguardo sul corpo di dy Joal. Nel corso del loro breve duello, non si erano scambiati una sola parola, e ciò creava nel Castillar un profondo disagio. La mera presenza di quel bravaccio, pur sottintendendo molte cose, non confermava nulla. Dy Joal era stato inviato da dy Jironal, oppure aveva agito di sua iniziativa? «Il capo… Dov’è il loro capo? Voglio interrogarlo», disse.
«È laggiù, mio signore, ma temo che non vi potrà rispondere», replicò Foix.
Poco lontano, Cazaril scorse Bergon che si stava rialzando dopo aver esaminato un cadavere. Purtroppo era il cadavere dell’uomo brizzolato.
«Ha combattuto con vigore e ha rifiutato di arrendersi», spiegò Ferda, in tono di scusa. «Aveva già ferito due dei nostri servitori, quando infine Foix lo ha abbattuto con una quadrella.»
«Credete che fosse davvero il siniscalco di questo posto, mio signore?» aggiunse Foix.
«No.»
Bergon si diresse verso di lui, la spada ancora in pugno, e lo squadrò da capo a piedi con aria preoccupata. «Adesso cosa facciamo, Caz?» domandò.
Lo spettro della donna, che sembrava meno agitato, stava additando il portone, mentre uno degli spettri maschili indicava le porte interne della rocca.
«Io… vi seguirò, tra un momento», sussurrò Cazaril.
«Come?» esclamò Bergon.
Cazaril si costrinse a distogliere lo sguardo da ciò che soltanto la sua seconda vista poteva scorgere. «Rinchiudeteli in una stalla sorvegliata», ordinò, facendo un cenno verso i nemici che si erano arresi. «Per ora metteteli tutti insieme, sani e feriti… Ci occuperemo di loro dopo aver curato le ferite dei nostri uomini. Poi bisognerà mandare qualcuno a perquisire la rocca, per accertarsi che non ci siano altri nemici o… altre persone, nascoste o prigioniere. Foix, prendi spada e balestra e vieni con me», concluse, rivolgendo lo sguardo al portone, dove il fantasma della donna continuava a chiamarlo.
«Non dovremmo prendere una scorta più numerosa, mio signore?» obiettò Foix.
«No, non credo sia necessaria…»
Lasciati Bergon e Ferda a occuparsi dei sicari superstiti, Cazaril si diresse verso il portone, seguito da Foix, che lo fissò con aria perplessa quando lui imboccò senza esitazione un sentiero tra i pini. Mentre camminavano, le strida dei corvi si fecero sempre più acute, inducendo Cazaril a farsi forza, in previsione di quello che avrebbero trovato. Il sentiero finiva sul bordo di un burrone.
«Per l’inferno del Bastardo», sussurrò Foix, abbassando la balestra e toccandosi i cinque punti sacri del corpo in un gesto di protezione.
Avevano trovato i cadaveri.
Giacevano in fondo al burrone, dov’erano stati gettati sopra un accumulo di anni di rifiuti di cucina e delle stalle. C’erano anzitutto un uomo giovane e due più anziani. Impossibile distinguere padrone da servitore perché, vivendo e lavorando in campagna, tutti si abbigliavano in modo pratico, con indumenti in cuoio e lana. Poi c’era la donna. Sembrava insignificante, grassoccia e di mezz’età. Era stata nuda, proprio come il bambino, un frugoletto di circa cinque anni. Entrambi erano stati mutilati… probabilmente dopo essere stati violati. La loro morte, almeno a giudicare dal lavoro dei corvi, risaliva al massimo al giorno prima. Lo spettro della donna si mise a piangere silenziosamente e quello del bambino si aggrappò a lei, gemendo… Non erano anime respinte dagli Dei, ma recise con troppa violenza dal corpo, ancora stordite dalla morte e incapaci di trovare la strada senza i necessari riti funebri.
«Signora, se io sono ancora vivo in questo luogo, allora significa che tu sei presente», sussurrò Cazaril, crollando in ginocchio. «Per favore, allevia la sofferenza di queste povere anime.»
L’espressione di quei volti spettrali passò immediatamente dall’angoscia alla meraviglia, poi i loro corpi evanescenti divennero sfocati, come raggi di sole riflessi in una nube lontana, e svanirono.
«Foix, aiutami a rialzarmi», disse Cazaril, dopo qualche istante. Sconcertato, Foix gli passò una mano sotto il gomito per sollevarlo, e lui si girò, barcollando, avviandosi lungo il sentiero.
«Mio signore, non dovremmo cercare se ce ne sono altri?» domandò Foix.
«No, sono tutti qui», garantì Cazaril, e il giovane ufficiale lo seguì senza aggiungere altro.
Al loro ritorno nel cortile, videro Ferda e un servitore armato uscire dal portone della rocca. «Avete trovato qualcuno?» chiese Cazaril.
«No, mio signore.»
Accanto al portone, lo spettro dell’uomo giovane stava ancora indugiando, sebbene il suo corpo luminescente sembrasse prossimo a dissolversi come fumo nel vento, e si contorceva, incitando Cazaril a entrare.
«Sì, sì, arrivo», gli disse lui, chiedendosi quale spaventosa urgenza potesse aver indotto quello spettro ad aggrapparsi al mondo reale, esitando a gettarsi nelle braccia aperte della Dea.
Quando lo spettro sgusciò nella fortezza, Cazaril, senza badare alle occhiate stupefatte di Foix e a Ferda, fece cenno ai due di seguirlo. Attraversarono la sala principale e passarono sotto una galleria, sbucando in cucina e scendendo una scala di legno verso un buio magazzino dalle pareti di pietra. «Avete cercato anche qui?» gridò, da sopra la spalla.