Un cantico per Leibowitz
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Su una parete un'insegna semisepolta era ancora leggibile. Mettendo a frutto la sua modesta conoscenza dell'inglese prediluviale, sussurrò esitando le parole:
Provviste per 180 giorni, per un solo occupante: dividere per il numero effettivo degli occupanti. Entrando nel rifugio, controllare che il Primo Portello sia ben chiuso e sigillato, che gli schermi anti-intrusi siano elettrificati per impedire l'accesso a persone contaminate che tentassero di entrare, che le luci di avvertimento siano ACCESE all'esterno della chiusura…
Il resto era sepolto; ma le prime parole bastarono a Francis. Non aveva mai visto un fallout e sperava di non doverlo vedere mai. Non era rimasta alcuna consistente descrizione del mostro, ma Francis aveva udito le leggende. Si fece il segno della Croce e si allontanò dal pertugio. La tradizione affermava che lo stesso Beato Leibowitz si era imbattuto in un Fallout, e ne era stato posseduto per molti mesi, prima che l'esorcismo che aveva accompagnato il suo battesimo scacciasse il maligno.
Frate Francis immaginava un Fallout come un essere metà salamandra — perché secondo la tradizione, la Cosa era nata nel Diluvio di Fiamma — e metà incubo che contaminava le vergini nel sonno, perché i mostri del mondo non erano forse tuttora chiamati "figli del Fallout?" Che il demone fosse capace di infliggere tutti i tormenti abbattutisi su Giobbe era un fatto documentato, quasi un articolo di fede.
Il novizio fissò sbigottito la scritta. Il suo significato era abbastanza chiaro. Aveva involontariamente fatto irruzione nel rifugio (deserto, pregò) non soltanto di uno, ma di quindici di quegli esseri temibili! Afferrò la fiala dell'acqua santa.
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Frammenti di simili versetti dalle Litanie dei Santi uscivano sussurrando a ogni respiro ansimante di frate Francis mentre si calava imbarazzato lungo la scala dell'antico Rifugio Sopravvivenza Fallout, armato com'era soltanto della sua acqua santa e di una torcia improvvisata, accesa sulle braci serbate dal fuoco della notte precedente. Aveva atteso per più di un'ora che qualcuno venisse dall'abbazia per indagare sul vortice di polvere. E nessuno era venuto.
Abbandonare anche per breve tempo la vigilia vocazionale, a meno di essere gravemente ammalato o di aver ricevuto l'ordine di ritornare all'abbazia sarebbe stato considerato come una rinuncia ipso facto alla sua pretesa di una vocazione sincera alla vita monastica nell'Ordine Albertino di Leibowitz. Frate Francis avrebbe preferito la morte. Perciò si era trovato di fronte a un dilemma: o ispezionare la spaventevole fossa prima del tramonto, o trascorrere la notte nella sua tana senza sapere cosa si potesse nascondere nel rifugio, qualcosa che avrebbe potuto destarsi e venire a cercarlo nell'oscurità. Come rischio notturno, i lupi erano già abbastanza terribili, e i lupi erano soltanto creature di carne e di sangue. Creature di sostanza meno solida, Francis preferiva incontrarle alla luce del giorno; sebbene, per la verità, la luce del giorno adesso cadesse obliquamente nella fossa sottostante, poiché il sole era già basso, a occidente.
I detriti che erano crollati nel rifugio formavano una collinetta che aveva la cresta vicino alla sommità delle scale, e lì c'era soltanto uno strettissimo passaggio fra le pietre e il soffitto. Vi entrò a piedi in avanti e si trovò costretto a continuare nello stesso modo, a causa della pendenza molto ripida. Poi, affrontando l'Ignoto faccia-a-schiena, cercò un sostegno per i piedi sui mucchi malfermi di pietre spezzate e si fece gradualmente strada verso il basso.
Di tanto in tanto, quando la sua torcia sembrava che stesse per spegnersi, si fermava un momento per inclinare la fiamma verso il basso, lasciando che il fuoco risalisse lungo il legno; durante quelle pause, cercava di valutare il pericolo che lo circondava e quello che lo attendeva più sotto. C'era ben poco da vedere. Era in una stanza sotterranea, ma almeno un terzo di questa era riempito dal mucchio di detriti che era caduto dalla tromba delle scale.
La cascata di pietre aveva coperto tutto il pavimento, fracassato parecchi mobili che lui poteva vedere; e probabilmente ne aveva sepolti altri completamente. Vide alcuni armadietti metallici tutti ammaccati e con le ante piegate, sepolti per metà nelle macerie. All'estremità della stanza poteva vedere una porta metallica, montata su cardini che le avrebbero permesso di aprirsi verso l'esterno, e sigillata dalla valanga. Ancora leggibili, a dispetto della vernice scrostata, c'erano sulla porta queste parole:
Evidentemente la stanza in cui era disceso era soltanto un'anticamera. Ma qualsiasi cosa vi fosse al di là del PORTELLO INTERNO era sigillata da parecchie tonnellate di roccia che premevano contro la porta. Il suo ambiente era veramente SIGILLATO a meno che non vi fosse un'altra uscita.
Dopo essere giunto ai piedi del pendio, e dopo essersi assicurato che l'anticamera non contenesse alcuna minaccia manifesta, il novizio andò a ispezionare cautamente la porta metallica più da vicino, al lume della torcia. Sotto la scritta PORTELLO INTERNO c'era una targa più piccola, striata di ruggine:
AVVERTENZA: Questo portello non deve essere chiuso prima che tutto il personale sia entrato, o prima che siano state predisposte tutte le misure di sicurezza prescritte dal Manuale Tecnico CD-Bu 83A. Quando il portello è chiuso, l'aria nell'interno del rifugio sarà pressurizzata a 2.0 p.s.i. al di sopra del livello barometrico ambiente per minimizzare la diffusione interna. Una volta sigillato, il portello sarà aperto automaticamente dal sistema servomonitor allorché (ma non prima) prevarrà una delle seguenti condizioni: 1) quando la radiazione esterna scenderà al di sotto del livello pericoloso; 2) qualora i sistemi di ripurificazione dell'acqua e dell'aria si guastassero; 3) qualora la riserva di cibo si esaurisse; 4) qualora si guastasse l'impianto elettrico interno. Vedere CD-Bu-83A per ulteriori istruzioni.