Il Maestro e Margherita
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Applaudí, ma in completa solitudine, e sul suo volto aleggiava un sorriso sicuro, ma negli occhi questa sicurezza era assente, anzi, essi esprimevano piuttosto un’implorazione.
Al pubblico, il discorso di Bengal’skij non piacque. Sopraggiunse un silenzio totale, che fu interrotto da Fagotto.
— E questo è di nuovo un caso di cosiddetta bugia, — dichiarò egli con alta voce tenorile da caprone; — le banconote, signori, sono autentiche.
— Bravo! — ringhiò brevemente una voce di basso dal loggione.
— A proposito, questo tipo, — Fagotto indicò Bengal’skij, — mi ha stufato. Ficca il naso dappertutto senza esserne richiesto, rovina lo spettacolo con osservazioni sballate. Che cosa ne facciamo?
— Strappagli la testa! — disse una voce severa dal loggione.
— Come dice, eh? — replicò immediatamente Fagotto a quella brutta proposta. — Strappargli la testa? È un’idea!
Behemoth! [11] — gridò al gatto. — Dài! Ein, zwei, drei!!
E successe una cosa inaudita. Il pelo del gatto nero si rizzò, e l’animale miagolò da spaccare i timpani. Poi si raccolse su se stesso e balzò come una pantera sul petto di Bengal’skij; di lí saltò sulla sua testa. Con un borbottio, il gatto affondò le gonfie zampe nella rada capigliatura del presentatore, e, con un urlo tremendo, gli strappò la testa dopo averla fatta ruotare due volte sul collo grassoccio.
Duemilacinquecento spettatori gridarono come un solo uomo. Un getto di sangue zampillò dalle arterie recise del collo e si riversò sullo sparato e sul frac. Il corpo decapitato strascicò bizzarramente le gambe e si sedette sul pavimento. Nella sala si udirono grida isteriche di donne. Il gatto consegnò la testa a Fagotto, che la prese per i capelli e la mostrò al pubblico; la testa gridò tremendamente per tutto il teatro:
— Un dottore!!
— Continuerai a dir fandonie anche in futuro? — chiese minaccioso Fagotto alla testa piangente.
— No, non lo farò piú! — rantolò la testa.
— Per amor di dio, non lo tormentate! — si udí da un palco una voce femminile che coprí il fracasso, e il mago si voltò nella sua direzione.
— Allora, signori, lo perdoniamo? — chiese Fagotto rivolgendosi agli spettatori.
— Lo perdoniamo, lo perdoniamo! — echeggiarono delle voci, dapprima isolate e in prevalenza femminili, poi si fusero in coro con quelle maschili.
— Quali sono i suoi ordini, Messere? — chiese Fagotto all’uomo mascherato.
— Già, — rispose quello pensieroso, — è gente normale…Ama il denaro, ma è sempre stato cosí… L’umanità ama il denaro, di qualunque cosa sia fatto: di cuoio, di carta, di bronzo o d’oro. Sí, è sconsiderata… già… e la misericordia a volte bussa ai loro cuori… gente normale… in fondo, ricorda quella di prima, ma è stata rovinata dal problema degli alloggi.. — e ordinò con voce forte: — Gli si rimetta la testa.
Il gatto prese con cura la mira e calcò sul collo la testa che riprese il suo posto come se non se ne fosse mai staccata. E quel che piú conta non rimase neppure una cicatrice sul collo. Con le zampe il gatto spolverò lo sparato e il frac di Bengal’skij, e le macchie di sangue scomparvero. Fagotto alzò in piedi Bengal’skij ancora seduto, gli ficcò nella tasca del frac un pacchetto di banconote e lo condusse via dal palcoscenico esclamando:
— Via di qua, senza di lei si sta piú allegri!
Guardandosi intorno con occhi privi di espressione e barcollando, il presentatore riuscí ad arrivare soltanto fino ai pompieri di servizio, e si sentí male. Gettò un grido lamentoso:
— La mia testa, la mia testa!…
Tra gli altri, anche Rimskij si precipitò verso di lui. Il presentatore piangeva, cercava di afferrare qualcosa in aria, borbottando:
— Ridatemi la mia testa, la mia testa… Prendetevi l’appartamento, prendetevi i quadri, ridatemi solo la mia testa!
Un fattorino corse a cercare un medico. Tentarono di far sdraiare Bengal’skij su un divano dell’ufficio, ma egli cominciò a divincolarsi, diventando furioso. Fu necessario chiamare il pronto soccorso. Quando portarono via lo sfortunato presentatore, Rimskij ritornò verso il palcoscenico e vide che succedevano nuovi miracoli. A proposito, forse in quel momento, o forse un po’ prima, il mago era scomparso dalla scena con la sua poltrona sbiadita, e bisogna dire che il pubblico non se n’era affatto accorto, trascinato dalle cose straordinarie che andava facendo sul palcoscenico Fagotto.
Questi, dopo aver accompagnato fuori il presentatore sinistrato, dichiarò al pubblico:
— Adesso che ci siamo sbarazzati di quel rompiscatole, apriamo un negozio di articoli per signora.
Il palcoscenico si ricoprí subito di tappeti persiani, sorsero enormi specchi illuminati ai lati da tubi verdognoli, e, tra gli specchi, delle vetrine in cui gli spettatori, allegramente sbalorditi, videro esposti vestiti femminili parigini di varie fogge e colori. Questo in alcune; in altre, invece, apparvero centinaia di cappellini con piume e senza piume con fibbie e senza fibbie, nonché centinaia di scarpe, bianche, nere, gialle, di cuoio, di raso, di camoscio, con cinghietti, con pietre dure. Tra le scarpe si videro astucci di profumo, montagne di borsette di antilope, di camoscio di seta, e, tra di esse, mucchi di lunghi astucci d’oro cesellati per il rossetto.
Apparsa da chi sa dove, una ragazza dai capelli rossi, con un abito nero da sera, assai piacente, ma rovinata da una bizzarra cicatrice al collo, sorrise accanto alle vetrine con fare da padrona.
Con un mellifluo sorriso, Fagotto dichiarò che la ditta eseguiva, a titolo assolutamente gratuito, il cambio di vecchi abiti e scarpe femminili con modelli parigini. Lo stesso valeva per le borsette e gli altri articoli.
Il gatto strisciava la zampa posteriore, facendo nel contempo con l’anteriore i gesti di un portiere che apre una porta.
Con voce un po’ rauca, ma dolce, mangiandosi le erre, la ragazza cominciò a canterellare qualcosa di poco comprensibile ma oltremodo seducente, a giudicare dai volti femminili in platea:
— Guerlain, Chanel, Mitsouko, Narcisse noir, Chanel numero cinque, vestiti da sera, vestiti da cocktail…
Fagotto si contorceva, il gatto eseguiva inchini, la ragazza apriva le vetrine.
— Si accomodino! — urlava Fagotto. — Senza complimenti e senza cerimonie!
Il pubblico era emozionato, ma nessuno ancora si decideva a salire sul palcoscenico. Finalmente una brunetta uscí dalla decima fila di platea e, sorridendo, quasi a dire che a lei non importava niente e se ne fregava, avanzò e salí sul proscenio per la scaletta laterale.
— Brava! — esclamò Fagotto. — Do il benvenuto alla prima visitatrice! Behemoth, una poltrona! Cominciamo dalle scarpe, madame?
La brunetta sedette in poltrona, e Fagotto le ammucchiò subito davanti una montagna di scarpe. La brunetta si tolse la scarpa destra, ne provò una viola, premette due o tre volte il tappeto col piede, esaminò il tacco.
— Non mi faranno male? — chiese pensierosa.
Al che Fagotto esclamò con voce offesa:
— Per carità! — e anche il gatto miagolò in tono offeso.
— Prendo questo paio, monsieur, — disse la brunetta con fare dignitoso, calzando anche l’altra scarpa.
Le sue vecchie scarpe furono gettate dietro una tenda, e nella stessa direzione andò pure la donna accompagnata dalla ragazza dai capelli rossi e da Fagotto, che portava appesi sulle grucce, alcuni modelli. Il gatto si indaffarava aiutava e, per darsi maggiore importanza, si appese al collo un metro da sarta.
Un minuto dopo, da dietro la tenda uscí la brunetta con un vestito tale che un sospiro passò per tutta la platea. L’ardimentosa donna, diventata piú bella sorprendentemente, si fermò davanti a uno specchio, alzò le spalle nude, si toccò i capelli sulla nuca e si contorse, tentando di guardarsi la schiena.
— La ditta la prega di gradire questo a titolo di ricordo — disse Fagotto porgendo alla brunetta un flacone in un astuccio aperto.