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Endymion

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Endymion
Название: Endymion
Автор: Simmons Dan
Дата добавления: 16 январь 2020
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Endymion - читать бесплатно онлайн , автор Simmons Dan

Anno Domini 3126. Quasi tre secoli dopo la Caduta. Pianeta Hyperion. Raul Endymion, una giovane guida, viene condannato a morte dopo un omicidio commesso per legittima difesa. E la sua morte, al contrario di quella dell'uomo da lui ucciso, sarebbe definitiva, perch? il ragazzo ? fra i pochi a non essersi convertito alla religione della Chiesa ufficiale, non ? un cristiano rinato e non ha accettato su di s? il simbionte crucimorfo che rende possibile la Risurrezione. La sentenza, tuttavia, non viene eseguita. Martin Sileno lo ha infatti scelto per una missione destinata a cambiare il volto dell'universo: accompagnare nel futuro e proteggere la giovane Aenea, figlia di Brawne Lamia e del cibrido John Keats, che sta per riemergere dalla Sfinge nella Valle delle Tombe Del Tempo. Dal teleporter di Vettore Rinascimento al ghiaccio eterno di Sol Draconis Septem, Endymion accompagner? cos? Aenea in un viaggio verso la verit? e la salvezza del genere umano, chiarendo lungo il cammino molti enigmi rimasti irrisolti in "Hiperion" e nella "Caduta di Hiperion": qual ? il ruolo del TecnoNucleo all'interno della Pax? perch? le IA hanno 'rapito' la vecchia terra? qual ? l'origine e la vera natura dello Shrike? chi ha creato il simbionte cruciomorfo che permette la Risurrezione e perch??

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Scossi la testa. — In ogni caso è stata una sciocchezza.

— Non c’è di che — disse Aenea.

Il decimo giorno provai a stare in piedi. Fu una breve vittoria, ma sempre vittoria. Il dodicesimo giorno riuscii a percorrere il corridoio fino al gabinetto in fondo. Quella fu una vittoria importante. Il tredicesimo giorno la rete elettrica smise di funzionare in tutta la città.

Nell’ospedale subentrarono i generatori d’emergenza posti nel seminterrato, ma capimmo di non avere più molto tempo.

— Mi piacerebbe portare con noi il robochirurgo — dissi quell’ultima sera, mentre ce ne stavamo seduti sulla terrazza dell’ottavo piano a guardare i viali coperti d’ombra.

— Sulla zattera ci starebbe — riconobbe A. Bettik. — Ma la prolunga sarebbe un problema.

— Senza scherzi — dissi, cercando di non sembrare l’infermo paranoide e demoralizzato che mi sentivo in quel momento — dobbiamo controllare le farmacie locali e rifornirci della roba che ci occorre.

— Già fatto — disse Aenea. — Tre nuovi medipac migliorati. Un’intera borsa di cartucce di plasma sanguigno. Un’apparecchiatura diagnostica portatile. Ultramorfina… ma non chiederla, oggi non ne avrai.

Protesi la sinistra. — Vedi? Oggi pomeriggio ha smesso di tremare. Non chiederò tanto presto altra morfina.

Aenea annuì. In alto, nuvole vaporose rosseggiavano per l’ultima luce della sera.

— Quanto resisteranno secondo te i generatori d’emergenza? — domandai all’androide. L’ospedale era uno dei pochi edifici ancora illuminati.

— Alcune settimane, forse — rispose A. Bettik. — La griglia energetica ha continuato ad autoripararsi e a funzionare per mesi, ma questo è un pianeta aspro… avrà notato anche lei le tempeste di sabbia che giungono dal deserto ogni mattina… e per quanto la tecnologia sia abbastanza avanzata per un mondo che non appartiene alla Pax, sono necessari tecnici umani per la manutenzione.

— L’entropia è una puttana — sospirai.

— Su, su — disse Aenea, appoggiata alla parete della terrazza. — L’entropia può esserci amica.

— Quando?

Aenea si girò in modo da stare appoggiata sul gomito. Dietro di lei, l’edificio era un rettangolo scuro che metteva in rilievo lo splendore della sua pelle abbronzata. — Logora gli imperi — disse Aenea. — E manda in rovina i dispotismi.

— Facile a dirsi — replicai. — Di quali dispotismi parliamo?

Aenea fece quel tipico gesto di noncuranza e per un momento pensai che non avrebbe aggiunto altro; poi invece disse: — Gli Unni, gli Sciti, i Visigoti, gli Ostrogoti, gli Egizi, i Macedoni, i Romani, gli Assiri.

— Sì, ma…

— Gli Avar e i Wei del Nord — continuò Aenea — e i Juan-Juan, i Mamelucchi, i Persiani, gli Arabi, gli Abbasidi, i Seljuk.

— Certo, ma non vedo…

— I Curdi e i Ghaznavidi — continuò, ora sorridendo. — Per non parlare di Mongoli, Sui, Tang, Buminidi, Crociati, Cosacchi, Prussiani, Nazisti, Sovietici, Giapponesi, Giavanesi, Ammeri del Nord, Cinesi Uniti, Colombo-peruviani e Nazionalisti Antartici.

Alzai la mano. Aenea smise. Guardando A. Bettik, dissi: — Non conosco nemmeno quei pianeti. E tu?

— Ritengo che si riferiscano tutti alla Vecchia Terra, signor Endymion — rispose l’androide con espressione neutra.

— Niente stronzate.

— Niente stronzate mi pare corretto, in questo contesto — replicò A. Bettik, in tono piatto.

Tornai a guardare Aenea. — Allora è questo, il nostro piano per rovesciare la Pax e far contento il vecchio poeta? Nasconderei da qualche parte e aspettare che l’entropia pretenda il suo scotto?

Aenea incrociò di nuovo le braccia. — No no — disse. — In condizioni normali sarebbe stato un buon piano… starsene accucciati per qualche millennio e lasciare che il tempo segua il suo corso… ma quei maledetti crucimorfi complicano l’equazione.

— E allora? — dissi, in tono serio.

— Anche se volessimo rovesciare la Pax… cosa che, tra parentesi, non voglio: è compito tuo… anche se volessimo rovesciare la Pax, l’entropia ormai non è più dalla nostra parte, con quel parassita che può rendere la gente quasi immortale.

— Quasi immortale — mormorai. — Mentre ero moribondo, ho pensato al crucimorfo, lo confesso. Sarebbe stato molto più facile… e molto meno doloroso delle operazioni chirurgiche e della convalescenza… morire e lasciare che quell’affare mi risuscitasse.

Aenea ora mi fissava. Alla fine disse: — Proprio per questo Hebron aveva il miglior servizio sanitario nell’ambito della Pax e fuori.

— Ossia? — Avevo ancora la mente annebbiata dai medicinali e dalla stanchezza.

— I suoi abitanti erano… sono… ebrei. Pochissimi hanno accettato la croce. Avevano a disposizione una vita sola.

Restammo in silenzio per un poco, quella sera, mentre le ombre riempivano i canyon di Nuova Gerusalemme e l’ospedale ronzava di vita elettrica, finché era possibile.

Il mattino seguente andai con le mie gambe fino al vecchio veicolo che mi aveva portato all’ospedale tredici giorni prima; poi, seduto sul pianale, dove mi avevano preparato un giaciglio, ordinai di cercare un negozio d’armi.

Dopo un’ora di giri fu chiaro che a Nuova Gerusalemme non esistevano negozi d’armi. — E va bene — dissi. — Proviamo in una centrale di polizia.

Ce n’erano diverse. Entrai zoppicando nella prima, rifiutando l’aiuto dell’androide e della bambina, e scoprii ben presto fino a che punto possa essere insufficientemente armata una società pacifica. Nella centrale di polizia non c’erano rastrelliere d’armi, neppure di fucili a canna corta per interventi d’ordine pubblico, né di storditori.

— Ho il sospetto che su Hebron non ci sia mai stato l’esercito e neppure la Guardia Nazionale — commentai.

— Penso proprio di no — disse A. Bettik. — Fino all’incursione Ouster, tre anni standard fa, sul pianeta non esistevano nemici umani né animali pericolosi.

Borbottai qualcosa e continuai a cercare. Alla fine, forzato l’ultimo cassetto a triplice serratura della scrivania di un capo di polizia, trovai qualcosa.

— Una Steiner-Ginn, mi pare — disse l’androide. — Una pistola che spara minicariche al plasma.

— So cos’è — replicai. Nel cassetto c’erano due caricatori. Quindi, circa sessanta colpi. Andai fuori, puntai la pistola verso una lontana collina e premetti il grilletto anulare. La pistola tossì e sul fianco della collina comparve un minuscolo bagliore. — Bene — dissi, infilando nella fondina l’antiquata pistola. Avevo temuto che fosse un’arma "a firma", cioè utilizzabile solo dal proprietario. Nel corso dei secoli, simili armi venivano e passavano di moda.

— Sulla zattera abbiamo la pistola a fléchettes — cominciò A. Bettik.

Scossi la testa: per un bel pezzo non volevo avere niente a che fare con quella roba.

Durante la mia convalescenza, A. Bettik e Aenea avevano fatto provvista d’acqua e di cibo; quando andai all’approdo nel canale e guardai la zattera riattrezzata e rifornita, vidi infatti le scatole extra.

— Domanda — dissi. — Perché continuiamo a usare questo mucchio di legname, mentre legati laggiù ci sono piccoli e comodi motoscafi da diporto? In alternativa, potremmo prendere un VEM e viaggiare godendoci anche l’aria condizionata.

Aenea e A. Bettik si guardarono. — Mentre eri in convalescenza — disse Aenea — abbiamo votato. Teniamo la zattera.

— E io non voto? — replicai, brusco. Volevo solo fingermi in collera, ma scoprii d’essere in collera davvero.

— Certo — disse Aenea, ferma sul pontile, ben dritta, a gambe larghe, mani sui fianchi. — Vota!

— Voto per prendere un VEM e viaggiare comodamente — dissi, notando con disgusto il mio tono petulante. Proseguii senza cambiarlo. — Oppure uno di quei motoscafi. Voto per lasciar perdere quei tronchi.

— Voto conteggiato — disse Aenea. — A. Bettik e io abbiamo votato per tenere la zattera. Non ha bisogno di ricarica e galleggia. Uno di quei motoscafi sarebbe stato rilevato dai radar, su Mare Infinitum; e poi su certi pianeti i VEM non funzionano. Due voti favorevoli, uno contrario. Teniamo la zattera.

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