Il gioco di Ender
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Gli alieni, minacciosi esseri dall’aspetto insettoide, hanno attaccato due volte la Terra e questa guerra il governo del mondo ha deciso di creare una razza di genii militari, di allevare bambini al di fuori del mondo normale e istruirli nelle arti marziali tramite una serie di “giochi di guerra” e di combattimenti simulati basati sull’uso del computer.
Ender Wiggin, l’eroe di questo magnifico romanzo, ? un genio tra i genii: nato con le doti di un superbo comandante e condottiero di uomini, viene forzato a una precoce maturit? attraverso un addestramento continuo e pressante. Toccher? a lui, unico a vincere tutti i “giochi”, assumere il comando, al momento opportuno, delle forze terrestri effettive: sar? lui a guidare le astronavi umane e i computer che dirigono la gittata dei missili contro il nemico. Con questo Il gioco di Ender, Orson Scott Card, uno dei migliori autori della fantascienza moderna, ? riuscito a rinnovare uno dei temi pi? classici di questo genere letterario, quello dell’addestramento dei cadetti spaziali, e si ? imposto, vincendo tutti i maggiori premi del 1986, a fianco dei Dickson e degli Heinlein e di tutti i grandi maestri di questo filone narrativo.
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Sulla Terra essa rimase una religione fra le tante. Ma per quelli che avevano attraversato lo spazio per abitare nei tunnel delle regine degli alveari, e per coltivare i campi un tempo appartenuti agli alveari, spesso questa fu la sola religione. E non ci fu colonia che non avesse il suo Araldo dei Defunti.
Nessuno seppe, e nessuno in realtà volle sapere, chi fosse stato il primo degli Araldi. Ender preferì non dirlo.
All’età di venticinque anni Valentine finì l’ultimo volume della sua storia delle guerre contro gli Scorpioni. Ad esso accluse il testo completo del piccolo libro di Ender, senza però rivelare il nome dell’autore.
Fu allora che l’anziano Egemone della Terra, Peter Wiggin, ormai settantasettenne e sofferente di gravi disturbi cardiaci, si mise in contatto con lei, via ansible.
— Io so chi l’ha scritto — le disse il fratello. — Ebbene, se lui può dar voce alle parole degli Scorpioni, sicuramente potrà farlo anche per me.
Ender parlò così con lui a mezzo ansible, e Peter gli raccontò la storia della sua vita senza omettere nessuno dei suoi crimini né le azioni che avevano portato vantaggi a qualcun altro. E quando Peter morì, Ender scrisse un secondo volume ancora a firma dell’Araldo dei Defunti. I due libri, insieme, vennero chiamati La Regina dell’Alveare e l’Egemone, e furono considerati scritti sacri.
— Coraggio, Val — disse un giorno a sua sorella. — Voliamo via, e andiamo a vivere per sempre.
— Non ci è concesso — rispose Valentine. — Ci sono miracoli che neppure la velocità relativistica può fare, Ender.
— Dobbiamo andarcene. Sento che qui potrei perfino trovare la felicità.
— Allora rimani.
— Ho vissuto troppo a lungo col mio dolore. Non voglio sapere che persona sarei senza di esso.
Così si imbarcarono su un’astronave e viaggiarono di pianeta in pianeta. Dovunque si fermarono lui fu soltanto Andrew Wiggin, Araldo itinerante dei defunti, e lei fu soltanto una storica di nome Valentine, che metteva per iscritto le opere dei vivi mentre lui dava voce alle storie dei defunti. E in ognuno di quei luoghi Ender portò sempre con sé il prezioso bozzolo di seta bianca, in cerca del mondo in cui la regina dell’alveare avrebbe potuto risvegliarsi e crescere, e vivere in pace.
La sua fu una lunga ricerca.
