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I guardiani della notte

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I guardiani della notte
Название: I guardiani della notte
Автор: Lukyanenko Sergei
Дата добавления: 16 январь 2020
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I guardiani della notte - читать бесплатно онлайн , автор Lukyanenko Sergei

La notte di Mosca ? pericolosa. Criminali e assassini si aggirano per le strade e si mescolano agli Altri: vampiri e mutanti, stregoni e fattucchiere che escono in caccia dopo il tramonto. La loro forza ? immensa, ma non bastano le armi tradizionali per combatterli. Solo Anton e quelli come lui possono riconoscerli, perch? compito dei Guardiani e quello di far rispettare l'antica tregua stipulata tra le Forze della Luce e le Forze delle Tenebre. Ma qualcosa nella pace millenaria che divide il popolo della Notte da quello del Giorno s? e incrinato, e il destino dell'umanit? ora ? legato a quello di un ragazzo che non sa di possedere un enorme potere. Comincia cos? una guerra senza esclusione di colpi, tra macchine di lusso e una civetta parlante, mafia russa e minacce apocalittiche, vodka e sortilegi.

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La maledizione!

Entrambi erano ancora vicinissimi e io non potevo capire chi sentivo dei due!

La melodia ci avvolgeva inebriante e in essa cominciarono a insinuarsi delle parole.

Una voce di donna!

Mi precipitai fuori dalle porte che si chiudevano e mi affrettai sulle tracce del ragazzino.

Magnifico. La caccia era alla fine.

Va bene, ma come potevo farcela con l'amuleto scarico? Non ne avevo idea…

Scese pochissima gente, sulla scala mobile salimmo in quattro. Il ragazzino per primo, dietro di lui una donna con un bambino, poi io, e subito dopo uno sgualcito e attempato colonnello. L*aura del colonnello era bella, luminosa, di una tonalità tra il grigio acciaio e l'azzurro. Pensai persino con ironia, per la stanchezza, di chiedere il suo aiuto. Gente come lui crede ancora nell'"onore degli ufficiali".

Solo che l'aiuto di un vecchio colonnello sarebbe servito meno di quello di un acchiappamosche per scacciare un elefante.

Dopo aver smesso d'imbottirmi la testa di fesserie, fissai di nuovo il ragazzino. Con gli occhi chiusi, scansionai l'aura.

Il risultato fu scoraggiante.

Era circonfusa da un chiarore cangiante, traslucido e a tratti si colorava di rosso, a tratti di verde cupo con bagliori blu scuro.

Un caso raro. Un destino ancora indeterminato. Un potenziale ancora insondato. Il ragazzino poteva diventare un gran delinquente o un uomo retto e buono, o anche una nullità come la maggioranza degli esseri umani al mondo. Era ancora tutto in divenire, come si dice. Simili aure possono averle i bambini di due o tre anni, ma in quelli più grandi s'incontrano molto di rado.

Ora era chiaro perché il Richiamo fosse indirizzato proprio a lui. Era una vera délicatesse, per così dire.

Sentii che la bocca mi si riempiva di saliva.

Stava andando avanti da troppo tempo, da troppo tempo… Fissai il ragazzino, il suo collo sottile sotto la sciarpa e maledissi il Capo, le consuetudini, i rituali, tutto ciò di cui era fatto il mio lavoro. Le gengive s'intorpidirono, la gola si seccò.

Il sangue aveva un gusto salato e amaro, ma solo col sangue potevo placare quella sete.

La maledizione!

Il ragazzino balzò fuori dalla scala mobile, corse nel vestibolo, scomparve dietro le porte a vetro. Per un attimo mi sentii meglio. Rallentai il passo e lo pedinai, mettendo a fuoco le sue mosse con la coda dell'occhio: il ragazzino s'inabissò nel sottopassaggio. Ormai correva, il Richiamo lo trascinava, attirandolo verso di sé.

Più in fretta!

Dopo aver raggiunto il chiosco, gettai al venditore due monetine e dissi, avendo cura di non mostrare i denti: — Da sei, con l'anello.

Il ragazzo brufoloso con gesti lenti — a quanto pare anche lui aveva provveduto a scaldarsi lì al lavoro — allungò la bottiglietta. E avvertì per onestà: — La vodka non è un gran che. Non è roba avvelenata, è una Dorochovskaja, ma…

— La salute è preziosa — tagliai corto. La vodka era chiaramente un surrogato, ma era proprio quello che mi andava bene. Con una mano strappai la capsula sotto l'anellino di filo di ferro attorcigliato, con l'altra presi il cellulare e tirai fuori l'antenna. Il venditore sgranò gli occhi. Tracannai un sorso — la vodka puzzava di cherosene e il sapore era ancora più schifoso, era di sicuro contraffatta — e corsi verso il sottopassaggio.

— Pronto.

Non era Larisa. La notte di solito era Pavel di turno.

— Anton. Nei pressi dell'Hotel Kosmos, dove ci sono i cortili. Seguo una traccia.

— Devo mandare una squadra? — Dalla voce trapelava un certo interesse.

— Sì. Ho già scaricato l'amuleto.

— Che è successo?

Un barbone, che schiacciava un sonnellino in mezzo al sottopassaggio, allungò la mano nella speranza che gli cedessi la bottiglietta. Lo superai di corsa.

— Ce n'è un altro… Sbrigati, Pavel.

— I ragazzi sono già partiti.

A un tratto mi parve che mi trafiggessero le tempie con degli aghi incandescenti. Ah, farabutto…

— Pasa, non rispondo di me — mi affrettai a dire, interrompendo la comunicazione. E mi fermai davanti all'uniforme di un poliziotto.

E ti pareva!

Perché i tutori umani dell'ordine devono sempre comparire nel momento meno opportuno?

— Sergente Kaminskij — si precipitò a dire come uno scioglilingua il poliziotto più giovane. — I documenti…

Interessante, di che vogliono accusarmi? Di ubriachezza molesta in luogo pubblico? Probabile.

Infilando la mano in tasca, sfiorai l'amuleto. Era appena tiepido, ma bastava.

— Non li ho — dissi.

Due paia d'occhi mi frugarono, pregustando già una preda, ma ben presto non furono che vuote pupille, senza più un barlume di intelligenza.

— Da qui non è mai passato — ripeterono i due uomini in coro.

Non c'era tempo di programmarli. Dissi la prima cosa che mi venne in mente: — Comprate della vodka e riposatevi. Fate con calma. Su, marsc!

L'ordine aveva centrato l'obiettivo. Prendendosi per mano, come ragazzini a zonzo, i poliziotti si precipitarono fuori dal sottopassaggio verso i chioschi. Mi sentii un po' a disagio pensando alle conseguenze di quell'ordine, ma non c'era il tempo di aggiustare la faccenda.

Uscii dal sottopassaggio persuaso che fosse già tardi. Invece no. Stranamente il ragazzino non era andato lontano. Stava lì in piedi, a un centinaio di metri, dondolandosi appena. Quella sì che era resistenza! Il Richiamo era tanto intenso che stupiva che i rari passanti non si gettassero nelle danze, che i filobus non sterzassero dal viale per irrompere nell'androne incontro a un irresistibile destino…

Il ragazzo si guardò intorno. Sembrava fissarmi. E proseguì in fretta.

Fine, era crollato.

Lo seguii, in preda all'ansia sul da farsi. Era meglio aspettare la squadra: sarebbe arrivata in una decina di minuti, non di più.

Ma le cose avevano preso una brutta piega per il ragazzo.

La compassione è un sentimento pericoloso. Oggi le avevo già ceduto due volte. Prima in metrò, esaurendo la forza dell'amuleto nel tentativo infruttuoso di annientare il vortice malefico. E ora di nuovo, seguendo le tracce del ragazzo.

Molti anni fa avevo udito una frase che non mi sentivo affatto di condividere. Non la condivido neppure oggi, anche se innumerevoli volte mi sono reso conto della sua verità: «Il bene comune e il bene concreto raramente vanno insieme…»

Già, ora lo capivo.

Ma, forse, esiste una verità che è peggio della menzogna.

Correvo incontro al Richiamo. Di sicuro lo percepivo in modo diverso da come lo sentiva il ragazzo. Per lui l'invito era una seducente, irresistibile melodia che lo privava della volontà e della forza. Per me, al contrario, era una sfrenata eccitazione del sangue.

Un'eccitazione del sangue…

Il mio corpo, di cui mi ero preso gioco per una settimana, si rivoltava. Avevo voglia di bere, ma non acqua (potevo soddisfare la sete, senza alcun danno per me stesso, anche con la neve sporca di città), non alcol (tenevo una bottiglietta di pessima vodka non raffinata sotto il braccio e anche questa non mi avrebbe arrecato nessun danno). No, volevo sangue.

E non di maiale o di bue, ma proprio umano. Maledetta caccia…

«Devi superare questo stadio» mi aveva detto il Capo. «Cinque anni nella sezione analitica non sono mica pochi, non trovi?» Non so, forse non erano pochi, ma a me piaceva. Del resto, anche il Capo da più di un secolo non svolgeva il lavoro operativo.

Sfrecciai davanti alle vetrine sfavillanti, che esponevano ceramiche Gžel' taroccate ed erano zeppe di cibi di plastica. Accanto, lungo il viale, le auto correvano, e i passanti erano rari. Anche questa era una finzione, un'illusione, solo una delle facce del mondo, l'unica accessibile agli esseri umani. Per fortuna non ero un essere umano.

Senza rallentare la corsa, creai il Crepuscolo.

Il mondo sussultò, scostandosi. Fui colpito da dietro le spalle come dal riflettore di un aeroporto, e una lunga ombra sottile s'infittì e acquisì volume, si allungò su se stessa nello spazio dove non c'erano altre ombre. Si staccò dal sudicio asfalto, si levò, ondeggiando come una densa colonna di fumo. Si muoveva veloce dinanzi a me…

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