Non mordere il sole

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Non mordere il sole
Название: Non mordere il sole
Автор: Lee Tanith
Дата добавления: 16 январь 2020
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Non mordere il sole - читать бесплатно онлайн , автор Lee Tanith

Esiste una citt? dove l’utopia si ? realizzata. Pu? essere un paradiso, per una vita lunghissima, un paradiso nel quale ognuno ? curato e accudito da robot perfetti, dove ogni giovane ? jang, e pu? fare tutto quello che vuole… suicidarsi per un numero infinito di volte, cambiare il proprio corpo, cambiare sesso, giocare con la vita e avere tutto a disposizione. Ma c’? una persona, in questa citt?, che non riesce a trovare la felicit? in questo genere di vita. Prevalentemente donna, giovane e irresistibile, vive la propria esistenza tra mille inquietudini, insieme ai suoi compagni e alle sue compagne. Nella citt?, per?, manca qualcosa… qualcosa che Si pu? trovare forse nel mondo esterno, quella distesa temuta di vulcani che viene attraversata soltanto a bordo di veicoli corazzati, o che pu? esistere nella possibilit? di avere un figlio, anche se ognuno deve decidere se di quel figlio sar? madre o padre…

Un libro straordinario, che nessun altro autore avrebbe mai saputo concepire, e che ? stato accolto dalla critica e dal pubblico americani come la rivelazione di uno straordinario talento, quello di Tanith Lee, una scrittrice capace di spaziare dall’epica classica alla geniale inventiva sociologica con una facilit? e un talento che lasciano sbalorditi.

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«Il dolore è una realtà,» disse Hergal, e spense la luce delle comunicazioni.

4.

Il circolo si riunì alla fine del vrek, per una festa tipicamente Jang. Io sposai Hergal, e Kley, che adesso era maschio, sposò Thinta, e Danor, che temporaneamente si era liberata del suo seguito, venne a mettere in mostra la sua bellezza, e Hatta doveva venire a mettere in mostra la sua bruttezza, ma poi non si fece vedere.

Usammo i fluttuanti, bevemmo fuoco-e-ghiaccio e neve-in-oro, avemmo l’estasi e ci divertimmo con le macchine del’amore, facemmo molto chiasso, facemmo l’amore e combinammo pasticci. Io e Hergal avevamo tutti e due ali d’angelo. Sono davvero forti, e noi scoprimmo che potevamo volare, molto goffamente, per brevi distanze… dentro alle nuvole, naturalmente. Avevamo ricevuto entrambi un avviso ufficiale dalla Commissione, per via dei troppi corpi cambiati. Se non avessimo aspettato trenta unit, al prossimo suicidio ci avrebbero messo in frigorifero per trenta unit. È molto fastidioso, mi spiegò Hergal: a lui era già capitato. E avevano ritirato a Hergal la licenza di guida dell’avioplano.

Nel bel mezzo di tutto questo, la mia ape ci cadde sulla testa.

«Non so,» disse Thinta, attraverso i capelli di Kley, «perché non riprogrammi quel coso.»

«Immagino che mi piaccia sentirmelo cadere sulla testa,» dissi io. «Immagino che sia differente.» Non lo ammetto spesso neppure questo. Dovevo essere parecchio estatica.

Verso l’alba abbandonammo i fluttuanti e corremmo per Quattro BEE cantando e svolazzando, fino al Museo della Robotica.

«Oh, non fategli del male,» ci implorò Thinta. Penso proprio che stia per diventare adulta. Lo sospetto da un pezzo. Stendemmo i robot curatori e cominciammo a strappare tutto, pazzamente felici e zaradann. I Jang fanno sempre cose del genere, in effetti, ma noi ci illudevamo di essere originali. Poi ci fermammo in quel caos, prendendo pigramente a calci i frammenti, con i piedi calzati di sandali dorati.

Il sole giallo di Quattro BEE stava levandosi allora sull’orlo del tetto trasparente, portando un altro unit di luce e di gioia perfetti e monotoni.

«Oh, Dio,» dissi, «sono assolutamente droad.»

Credo che fosse Hergal a sorreggermi, o forse fu una rete. Non mi accorsi di toccare il pavimento.

Al Limbo erano veramente preoccupati per me. A quanto pareva, ero veramente «svenuta», una cosa che nessuno aveva più fatto da interi eoni. Mi rispedirono nella vasca del Limbo e mi diedero un corpo nuovo, nell’eventualità che nel vecchio ci fosse qualcosa che non andava, anche se non riuscirono a trovare niente. Anche Thinta era preoccupata. Venne a trovarmi, quando mi fecero restare per quattro unit in osservazione.

«Ti ho portato qualche pillola dell’estasi,» mi disse, «e una rivista di moda a illustrazioni mobili.»

«Grazie,» dissi io, cercando di mostrarmi interessata.

«Ehm, ooma,» fece lei, con voce tremula. «Non l’ho detto a nessuno, ma ti ricordi quella strana parola che hai detto, immediatamente prima di… ehm, immediatamente prima di…»

«Di svenire?» chiesi io. Ormai avevo preso quella stranezza con molto coraggio. «No.»

«Hai detto…» Thinta fece una pausa. «Hai detto che eri droad e subito prima di dire che eri droad, hai detto… ehm…»

«Senti, Thinta,» cominciai.

«No. Va bene, ti chiedo scusa. Hai detto ’Oh… Dio’?»

«Davvero?» chiesi io.

«Beh, sì, vedi, effettivamente l’hai detto.»

«Sei sicura che non fosse un gemito o qualcosa di simile?» domandai.

«No,» disse Thinta.

«Beh,» dissi io. «Cosa significa?»

«Non lo so,» disse Thinta. «Ho guardato negli archivi storici e qua e là, in effetti, lo nominano. Sembra che fosse una sorta di computer enorme, speciale.»

«Non mi sembra molto probabile,» dissi io.

«No,» fece Thinta. «Solo che… ecco, mi ha un po’ preoccupata.»

Benissimo, così adesso sono preoccupata anch’io. Grazie, Thinta ooma.

Qualche volta, adesso, mi preoccupo. Mi sveglio, la notte, da tutti quegli strani sogni del deserto, e penso… Dio? Dio? Ma sembra che una risposta non esista.

Comunque, adesso sono molto calma. Serena. Forse come Danor. Di solito non mi eccito e non mi infurio più come una volta. Forse ho imparato ad accettare il sole, e ho rinunciato a morderlo.

L’altro unit, Hatta mi ha chiamata di nuovo, tutto bernoccoli e bitorzoli e tentacoli, ed è una vergogna, lo so, ma così proprio non lo sopporto. So che lui ha bisogno di questa prova d’amore, posso capirlo; adesso cerca di nasconderlo a se stesso e continua solo a ripetere che è molto importante essere brutti, qualche volta, e che andare con lui così com’è sarebbe un’Esperienza Essenziale. Forse lo sarebbe e forse dovrei provare. Forse una volta o l’altra proverò.

E non molto tempo fa, mentre viaggiavo con la mia sfera, all’improvviso ho pensato che sarebbe meraviglioso se vi fosse un posto, nella città, dove poter morire senza che i robot ti trovassero mai. Naturalmente c’è il deserto, ma sarebbe un po’ scorretto morire deliberatamente, cittadina come sono: quasi usarlo come un enorme scarico a vuoto. Ho fatto seppellire là fuori il bestiolino — sì, adesso posso dirlo — ma questo è stato diverso. Doveva tornare alle sabbie da cui era nato. Io appartengo a questo crepuscolo da cui sono nata. Ma è vero?

Ma è proprio vero?

FINE
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