La prova del fuoco
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Era notte nell'emisfero occidentale quando il Sole emise la sua grande fiammata, e questo salv? il continente americano dalla combustione totale. Ma non lo salv? dalle atomiche sovietiche che cominciarono subito a piovere. Perch?, chi avrebbe potuto dar torto ai pochi russi superstiti sottoterra, nella stanza dei bottoni, se pensarono che l'attacco fosse venuto dall'America?
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— Non posso salvarli tutti — disse fra se, con la voce soffocata dal casco. — Non posso neanche tentare di salvarne l'uno per cento.
Ma pur dicendo questo sapeva che avrebbe tentato. Senza le nozioni e le capacità di quella manciata di persone che vivevano sulla Luna, l'intera civiltà terrestre sarebbe scomparsa in un batter d'occhio. Qualcuno sarebbe sopravvissuto vivendo come erano sopravvissuti i suoi progenitori cinquemila anni prima. Ma le cognizioni, l'arte, la libertà, le grandi opere della mente e del cuore umano costruite con tanta fatica lungo il corso dei millenni sarebbero scomparse per sempre. La civiltà sarebbe morta, e presto.
— A meno che noi non facciamo qualcosa — disse fra sé Douglas, e subito gli rispose una voce interiore. Non noi, tu. A meno che tu non faccia qualcosa moriranno tutti e tutto.
Douglas annuì nel casco sferico della tuta. Accettava le responsabilità.
— Devo salvarli. Costi quel che costi, devo tentare.
4
— Sei sicura che Douglas non… — Kobol lasciò la frase in sospeso.
Lisa scosse la testa. — Ho controllato. È salito in superficie per fare due passi da solo.
Kobol si mise a sedere sul bordo del letto. Indossava l'abito da lavoro comune a tutti: una tuta grigia, sbiadita. Sulla spalla era cucito un cerchietto di stoffa blu altrettanto sbiadito, attraversato da una saetta gialla: il contrassegno del reparto energia elettrica.
Lisa, che indossava ancora la tuta imbottita nera, rialzò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia.
— Ti è rimasto un bel segno sulla guancia — osservò Kobol.
— Lo coprirò col fondotinta.
— Già. — Si guardò intorno. — E cosa farai quando i cosmetici saranno finiti? Manderai Douglas a comprarli in una profumeria sulla Terra?
— Non sei divertente.
— Non ne avevo affatto l'intenzione.
— Tu non ti aspettavi che tornasse, vero?
Kobol non rispose.
— Martin, guardami! — gli intimò lei. Kobol si voltò lentamente, ma senza avvicinarsi.
— Douglas non sa nulla di noi — gli disse Lisa. — Non devi preoccuparti per questo.
Il lungo viso tetro di Kobol non cambiò espressione. — Ci avevo pensato. Voglio dire che avevo pensato a noi. A lui. Hai visto che accoglienza gli hanno tributato? È un eroe. Lo adorano.
— Già — ammise Lisa. — Ma non ha la stoffa del capo. C'è una bella differenza.
Kobol sbuffò.
— No, ascoltami. Io lo conosco. — Lisa si raddrizzò a sedere appoggiando la schiena contro il muro. — Non sa comandare sul serio. Sa dare ordini e fare quello che crede debba essere fatto, ma parte dal presupposto che tutti la pensino come lui e seguano spontaneamente le sue direttive. Non si rende nemmeno conto che deve convincere la gente, circuirla, allettarla o costringerla a seguirlo.
Kobol espresse il suo consenso con un sorriso riluttante. — Hai ragione. È proprio fatto così. Capace di affrontare i nemici senza neanche voltarsi a guardare se i suoi soldati lo seguono.
— Dobbiamo formare un vero governo — dichiarò lei con fermezza. — Gli incontri occasionali dei capi dei vari settori devono essere trasformati in un consiglio, con riunioni regolari…
— Ed elezioni?
— Sì, elezioni, naturalmente. Non subito, è ovvio, ma l'anno prossimo, quando ci saremo un po' assestati.
— Eleggeranno Douglas come capo supremo — disse Kobol con un sorriso sardonico.
— Forse.
— Ne dubiti?
— Non credo che importi molto — replicò Lisa con una voce dura come i muri della stanzetta. — Lasciamo pure che quegli idioti lo eleggano capo supremo, comandante o quel che preferiscono. Nel consiglio, lui avrà a che fare con noi. E non saprà come cavarsela. Se ci mettiamo d'accordo, tre o quattro di noi possono bloccarlo.
Kobol si passò la mano sulla mascella ossuta. — Gli faresti questo?
— Perché no? Sarebbe per il bene della comunità, non ti pare? Lui vorrà certo tornare sulla Terra per portare qui tutti i superstiti che riuscirà a trovare, e tu sai che non ce lo possiamo permettere.
— Ma tu, tu… lo colpiresti deliberatamente alla schiena?
— Non farne un dramma, Martin — ribatté lei fissandolo intensamente. — Io ho sposato l'uomo sbagliato. Anche se dividiamo questa stanza e questo letto, non significa che lo amo o che debba seguirlo ciecamente come una schiava.
— Non so — disse lui lentamente. — Ti guardavo quando è arrivato. Sembrava che… — esitò.
— Cosa?
— Che tu fossi felice di rivederlo. Molto felice. Come una bambina che ha ritrovato il suo cucciolo.
Lisa arrossì. — Non dire assurdità.
— Così mi è sembrato.
— Sciocchezze. — Ma distolse gli occhi per guardare il lucido specchio di metallo appeso alla parete di fronte.
— Quanto a noi due… — cominciò Kobol.
— Non è cambiato niente — dichiarò Lisa. — Douglas è all'oscuro di tutto.
Ma Kobol scrollò la testa dicendo: — Qualcosa è cambiato, Lisa. Io. Non voglio più vivere alla sua ombra. Voglio che tu lo lasci.
— Non posso! — esclamò lei sorpresa. — Non adesso. Non ancora, comunque.
— Perché no?
— Come posso, con la situazione che si è venuta a creare? Non vedi cosa sta succedendo, Martin? Non capisci? La vita della nostra comunità è appesa a un filo. La Terra è morta e dobbiamo contare solo su noi stessi. La situazione è già abbastanza precaria senza aggravarla coi nostri problemi personali.
Lui puntò l'indice lungo e ossuto verso l'ecchimosi bluastra sulla sua guancia. — Non credi che i tuoi problemi personali siano già di dominio pubblico?
— No — rispose con fermezza Lisa. — E per il momento passano in seconda linea. Ho intenzione di continuare a essere sua moglie e lui sarà il capo del nuovo governo.
— Sarebbe come dire che tu sarai il capo del nuovo governo, e io me ne starò fuori al freddo.
— Martin, per favore — disse lei sfiorandogli la mano. — Devi capire. Noi due possiamo… restare ancora insieme. Come abbiamo fatto fino adesso.
Kobol ritrasse la mano. — No, Lisa. Sei tu che devi capire. Io voglio essere il capo del governo, qualunque sarà. E voglio averti tutta per me.
— Avrai quello che vuoi, ma ci vuole tempo, Martin. Devi avere pazienza.
— Lo lascerai per me?
— A suo tempo.
— Farai in modo che diventi io il capo?
Lei esitò. — Non sono certa che ti eleggerebbero, Martin. Eleggeranno Douglas. È il loro eroe. Noi due dobbiamo lavorare tramite lui.
Kobol proruppe in un'amara, aspra risata. — Sarebbe come dire che tu dirigerai il consiglio tramite suo. Tu vuoi il comando, in un modo o nell'altro.
Lisa tornò ad appoggiarsi contro il muro come se volesse trarre forza dalla pietra. — È questo che pensi?
Kobol smise di ridere. — Chiunque vinca, tu vuoi comandare. Vuoi diventare l'ape regina.
— E tu cosa vuoi, Martin? — ribatté lei freddamente. — Il tuo interesse nei miei riguardi non deriva in parte dalla gelosia per Douglas? Non vuoi essere il primo, avere tutto per te?
— Cristo, Lisa, noi due siamo fatti della stessa pasta! — sbottò Kobol. — Se non ci azzanniamo a vicenda, insieme faremo grandi cose.
— Io non sfodererò gli artigli finché tu non mi metterai i bastoni fra le ruote.
— E hai intenzione di restare con lui?
— Per il momento.
— Non pensi che dovrai andare in letto con lui?
— Ma certo. La maggior debolezza di Douglas è che ci tiene a fare tutto quello che ritiene suo dovere.
— È diverso da noi.
Lisa allungò le gambe e sì alzò dal letto. — Dovremo prendere accordi per la formazione di un consiglio permanente… un elenco di incontri, titoli ufficiali, roba del genere.
Kobol assentì.
L'interfono accanto al letto cominciò a ronzare. Lisa sollevò il ricevitore, rimase ad ascoltare per qualche istante, poi ringraziò e riappese.
— È rientrato — disse poi a Kobol. — Probabilmente sarà qui fra poco. È meglio che tu te ne vada adesso, Martin.