Il simbolo perduto
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Come in "Angeli e demoni" e ne "Il codice da Vinci" il protagonista de "Il simbolo perduto" ? Robert Langdon, professore di Harvard specializzato in simbologia. Langdon, a Washington per una conferenza, si trova coinvolto in una serie di segreti legati alla massoneria americana dopo che il suo amico Peter Solomon, esponente della massoneria, viene rapito. A questo punto a Langdon non rimane che cominciare ad indagare per salvare il suo amico; in sole 12 ore, aiutato dalla sorella di Solomon, dovr? decifrare il simbolo perduto in un susseguirsi di misteri, colpi di scena, imprevisti e realt? nascoste.
Robert Langdon, professore di simbologia ad Harvard, ? in viaggio per Washington. ? stato convocato d’urgenza dall’amico Peter Solomon, uomo potentissimo affiliato alla massoneria, nonch? filantropo, scienziato e storico, per tenere una conferenza al Campidoglio sulle origini esoteriche della capitale americana. Ad attenderlo c’? per? un inquietante fanatico che vuole servirsi di lui per svelare un segreto millenario. Langdon intuisce qual ? la posta in gioco quando all’interno della Rotonda del Campidoglio viene ritrovato un agghiacciante messaggio: una mano mozzata col pollice e l’indice rivolti verso l’alto. L’anello istoriato con emblemi massonici all’anulare non lascia ombra di dubbio: ? la mano destra di Solomon. Langdon scopre di avere solamente poche ore per ritrovare l’amico. Viene cos? proiettato in un labirinto di tunnel e oscuri templi, dove si perpetuano antichi riti iniziatici. La sua corsa contro il tempo lo costringe a dar fondo a tutta la propria sapienza per decifrare i simboli che i padri fondatori hanno nascosto tra le architetture della citt?. Fino al sorprendente finale. Un nuovo capitolo de "Il Codice da Vinci", un thriller dalla trama mozzafiato, che si snoda a ritmo incalzante in una selva di simboli occulti, codici enigmatici e luoghi misteriosi.
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Langdon si fermò con la matita a mezz’aria: nonostante tutto il suo entusiasmo, esitava.
«Robert?»
Lui la guardò, titubante. «Sei sicura di volerlo fare? Peter ha detto espressamente che…»
«Robert, se non vuoi farlo tu, lo faccio da sola.» E allungò la mano per prendere la matita.
Langdon si arrese, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Assegnò a ogni lettera della griglia un numero e le riordinò secondo la sequenza del quadrato magico di Dürer.
Quando ebbe finito, lesse il risultato insieme a Katherine.
Lei rimase un attimo perplessa. «Continua a non avere senso!» Langdon rifletté qualche istante, poi, con gli occhi che gli
brillavano, disse: «Veramente non è senza senso, Katherine: è
latino».
In un lungo corridoio buio, un anziano cieco avanzava trascinando i piedi verso il proprio studio. Quando finalmente vi arrivò, si lasciò cadere sulla sedia dietro la scrivania, esausto. Premette un tasto e ascoltò il messaggio in segreteria telefonica. "Sono Warren Bellamy" diceva sottovoce il suo amico e fratello. "Ho notizie a dir poco allarmanti…"
Katherine Solomon guardò di nuovo la griglia di lettere e questa volta identificò almeno una parola: Jeova.
Non aveva mai studiato il latino, ma quella parola le era familiare, avendo letto antichi testi ebraici. Jeova. Jehovah. Continuò a leggere e identificò anche le altre due parole.
Jeova sanctus unus.
Capì subito cosa volesse dire. Quelle tre parole ricorrevano numerose volte nelle traduzioni in latino delle scritture ebraiche.
Nella Torah, il Dio d’Israele veniva chiamato in molti modi -Jeova, Jehovah, Jeshua, Yahweh, la Sorgente, l’Elohim -, ma nelle versioni in latino tutti questi nomi erano stati riuniti in un unico appellativo, Jeova sanctus unus.
«Unico vero Dio» sussurrò Katherine fra sé. Non le sembrava che quella scoperta potesse aiutarli a salvare suo fratello. «E questo sarebbe il segreto della piramide? Unico vero Dio? Credevo che dovesse darci delle indicazioni geografiche…»
Anche Langdon era dubbioso e un po’ deluso. «La soluzione dell’enigma è giusta, però…»
«L’uomo che tiene prigioniero mio fratello vuole delle coordinate.» Lei si ravviò i capelli sistemandoseli dietro le orecchie. «Non credo che sarà molto contento.»
«Era proprio quello che temevo, Katherine» ammise Langdon con un sospiro. «È tutta la sera che ho la sensazione di stare sbagliando a trattare come reale una serie di miti e allegorie. Forse questa iscrizione conduce a un luogo metaforico… significa che il potenziale dell’uomo si può realizzare appieno soltanto attraverso l’unico vero Dio.»
«Ma non ha senso!» ribatté Katherine. Serrò le labbra. «La mia famiglia custodisce questa piramide da generazioni! Un unico vero Dio? È questo il suo segreto? E la CIA lo considera un problema di sicurezza nazionale? O qualcuno qui mente, oppure a noi sfugge qualcosa.»
Langdon si strinse nelle spalle. Era d’accordo.
In quel momento, gli squillò il cellulare.
In uno studio ingombro di antichi tomi, il vecchio era chino sulla scrivania e stringeva la cornetta nella mano deformata dall’artrosi. Il telefono suonava e suonava.
Dopo un bel po’, rispose una voce profonda ma titubante. «Pronto?»
«So che cerca protezione» sussurrò il vecchio.
L’uomo al telefono sembrava sorpreso. «Chi parla? È stato Warren Bellamy a…»
«Non faccia nomi, per carità» lo interruppe il vecchio. «Mi dica, è riuscito a proteggere la mappa che le è stata affidata?»
La risposta arrivò dopo un attimo. «Sì, ma… non credo sia molto importante. Ammesso che sia davvero una mappa, sembra più metaforica che…»
«No, le assicuro che non è una metafora: indica un luogo preciso. Mi raccomando, faccia in modo che resti al sicuro. Non serve che le dica quanto è importante. La stanno seguendo, ma se riuscirà a raggiungermi senza farsi scoprire, io le darò protezione… e risposte.»
L’uomo esitò.
«Amico mio» disse allora il vecchio, stando attento a come si esprimeva. «Esiste un luogo a Roma, a nord del Tevere, che contiene dieci pietre provenienti dal monte Sinai, una venuta direttamente dal cielo e una che reca le sembianze dell’oscuro padre di Luke. Lei sa di che luogo parlo?»
Dopo un momento di riflessione, l’altro rispose: «Sì, ho capito».
Il vecchio sorrise. Lo immaginavo, professore. «Venga subito. E stia attento a non farsi seguire.»
71
Mal’akh, nudo sotto la doccia fumante, si sentiva di nuovo puro, ora che si era lavato di dosso l’odore di etanolo. Il vapore profumato all’eucalipto cominciò a penetrargli nella pelle e i pori gli si aprirono, dilatati dal calore. A quel punto cominciò il suo rito.
Prima si cosparse di crema depilatoria il corpo e la testa tatuati per eliminare ogni pelo. Gli dèi delle sette isole Elettridi erano glabri. Poi si massaggiò la pelle così ammorbidita e ricettiva con olio di abramelin. La mirra sacra dei magi. Quindi, con un gesto deciso, ruotò la manopola e l’acqua cominciò a scorrere gelida. Rimase sotto il getto freddissimo per un minuto buono, per far richiudere i pori, in modo da trattenere all’interno il calore e l’energia. Il freddo gli serviva anche a ricordare il fiume gelato in cui aveva avuto inizio la sua metamorfosi.
Quando uscì dalla doccia tremava, ma nel giro di pochi secondi il calore risalì dal profondo verso la superficie e Mal’akh si sentì ardere come una fornace. Andò davanti allo specchio e si ammirò… forse era l’ultima volta in cui si vedeva da semplice creatura mortale.
I suoi piedi erano artigli di falco, le gambe gli antichi pilastri della saggezza — Boaz e Jachin -, i fianchi e l’addome l’arco della potenza mistica da cui pendeva il grande membro virile, che recava tatuati simboli del suo destino esistenziale. In un’altra vita, quella poderosa verga era stata fonte di piacere carnale, ma ora non più.
Sono stato purificato.
Come i mistici monaci eunuchi di Katharoi, Mal’akh si era fatto evirare. Aveva sacrificato la potenza sessuale in cambio di poteri più nobili. Gli dèi sono asessuati. Essendo il sesso un’imperfezione umana, oltre che una tentazione terrena, Mal’akh se ne era liberato, diventando come Urano, Attis, Sporo e i grandi maghi castrati della leggenda arturiana. Ogni metamorfosi spirituale è preceduta da una metamorfosi fisica. Questa era la lezione delle grandi figure divine, da Osiride a Tammuz, a Gesù, Shiva e Buddha.
Devo liberarmi delle mie spoglie umane.
Mal’akh alzò gli occhi di scatto e, al di sopra della fenice a due teste che aveva sul petto e del mosaico di antichi simboli che gli adornavano il volto, si osservò la testa. Si chinò verso lo specchio per guardare il cerchio di cuoio capelluto ancora vergine, in attesa. Quella parte del corpo è sacra. Si chiama "fontanella" e corrisponde all’unico punto in cui, alla nascita, le ossa non sono ancora saldate. Un oculo che dà accesso al cervello. Benché quest’apertura fisiologica si chiuda spontaneamente nei primi mesi di vita, conserva un valore simbolico in quanto traccia della connessione perduta fra il mondo interiore e quello esteriore.
Mal’akh osservò quel cerchio sacro di pelle intatta, delimitata a mo’ di corona da un uroboro, il mistico serpente che si morde la coda. La pelle bianca pareva ammiccare, carica di promesse.
Robert Langdon stava per scoprire il tesoro di cui Mal’akh aveva bisogno. A quel punto, lo spazio vuoto sulla sommità del suo capo sarebbe stato riempito e lui sarebbe stato finalmente pronto per la trasformazione finale.
Scalzo, andò a prendere nell’ultimo cassetto del comò una lunga fascia di seta bianca e, come tante altre volte prima di quella sera, se l’avvolse intorno ai glutei e all’inguine come un perizoma. Poi scese al piano di sotto.