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Il simbolo perduto

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Il simbolo perduto
Название: Il simbolo perduto
Автор: Brown Dan
Дата добавления: 16 январь 2020
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Il simbolo perduto - читать бесплатно онлайн , автор Brown Dan

Come in "Angeli e demoni" e ne "Il codice da Vinci" il protagonista de "Il simbolo perduto" ? Robert Langdon, professore di Harvard specializzato in simbologia. Langdon, a Washington per una conferenza, si trova coinvolto in una serie di segreti legati alla massoneria americana dopo che il suo amico Peter Solomon, esponente della massoneria, viene rapito. A questo punto a Langdon non rimane che cominciare ad indagare per salvare il suo amico; in sole 12 ore, aiutato dalla sorella di Solomon, dovr? decifrare il simbolo perduto in un susseguirsi di misteri, colpi di scena, imprevisti e realt? nascoste.

Robert Langdon, professore di simbologia ad Harvard, ? in viaggio per Washington. ? stato convocato d’urgenza dall’amico Peter Solomon, uomo potentissimo affiliato alla massoneria, nonch? filantropo, scienziato e storico, per tenere una conferenza al Campidoglio sulle origini esoteriche della capitale americana. Ad attenderlo c’? per? un inquietante fanatico che vuole servirsi di lui per svelare un segreto millenario. Langdon intuisce qual ? la posta in gioco quando all’interno della Rotonda del Campidoglio viene ritrovato un agghiacciante messaggio: una mano mozzata col pollice e l’indice rivolti verso l’alto. L’anello istoriato con emblemi massonici all’anulare non lascia ombra di dubbio: ? la mano destra di Solomon. Langdon scopre di avere solamente poche ore per ritrovare l’amico. Viene cos? proiettato in un labirinto di tunnel e oscuri templi, dove si perpetuano antichi riti iniziatici. La sua corsa contro il tempo lo costringe a dar fondo a tutta la propria sapienza per decifrare i simboli che i padri fondatori hanno nascosto tra le architetture della citt?. Fino al sorprendente finale. Un nuovo capitolo de "Il Codice da Vinci", un thriller dalla trama mozzafiato, che si snoda a ritmo incalzante in una selva di simboli occulti, codici enigmatici e luoghi misteriosi.

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Dopo aver perlustrato il pianterreno, Simkins mandò due agenti a controllare di sopra mentre lui scendeva nello scantinato da una scala vicino alla cucina. Arrivato in fondo, accese la luce. Il locale era spazioso e immacolato, come se non venisse mai usato. Caldaia, muri spogli, qualche scatola. Qui non c’è proprio niente. Simkins risalì in cucina nel momento in cui i suoi uomini tornavano dal piano di sopra, scuotendo la testa.

La casa era deserta.

Non c’era nessuno e non si vedevano altri cadaveri.

Simkins comunicò via radio a Sato il cessato allarme e il triste bilancio.

Arrivando nell’atrio, Simkins si accorse che Sato stava già salendo le scale del porticato. Warren Bellamy era visibile dietro di lei, seduto solo e confuso nell’elicottero, con la valigetta in titanio di Sato ai suoi piedi. Il computer portatile consentiva al direttore d e l l ’ O S di accedere al sistema informatico della C I A da ogni parte del mondo, attraverso collegamenti satellitari criptati. Quella sera l’aveva usato per mostrare a Bellamy alcune informazioni che l’avevano sconvolto al punto di convincerlo a collaborare. Simkins non aveva la minima idea di quello che aveva visto Bellamy, ma, qualunque cosa fosse, l’architetto era parso visibilmente scioccato e dava l’idea di non essersi ancora ripreso.

Quando Sato entrò nell’atrio, si soffermò un attimo con la testa china per guardare il cadavere di Hartmann, poi alzò gli occhi e fissò Simkins. «Nessuna traccia di Langdon o Katherine? O di Peter Solomon?»

Simkins scosse la testa. «Se sono ancora vivi , li ha portati via con sé.»

«Ha trovato un computer in casa?»

«Sì, direttore. Nello studio.»

«Me lo mostri.»

Simkins fece strada a Sato in soggiorno. La morbida moquette era ricoperta di schegge di vetro della finestra del bovindo. Passarono davanti a un caminetto, a un grande dipinto e a diverse librerie prima di arrivare alla porta dello studio. Entrarono nella stanza rivestita di legno, dove c’era una scrivania antica con sopra un grosso monitor. Sato girò intorno alla scrivania per dare un’occhiata e subito si accigliò.

«Maledizione» disse sottovoce.

Anche Simkins fece il giro e guardò lo schermo. Era spento. «Cosa c’è che non va?»

Sato indicò una docking station vuota sul piano. «Usa un portatile e l’ha preso con sé.»

Simkins non riusciva a seguirla. «Ha delle informazioni che lei vuole vedere?»

«No» rispose Sato. «Ha delle informazioni che nessuno deve vedere.»

Di sotto, nella parte segreta dello scantinato, Katherine Solomon aveva sentito il rumore dell’elicottero seguito dall’infrangersi dei vetri e dai passi pesanti sul soffitto sopra di lei. Aveva cercato di gridare per chiedere aiuto, ma la pezza in bocca gliel’aveva impedito. Riusciva a malapena a emettere qualche debole suono. E più ci provava, più il sangue scorreva veloce lungo il suo gomito.

Faceva fatica a respirare e le girava la testa.

Sapeva che doveva calmarsi. Ragiona, Katherine. Con tutta la sua buona volontà, cercò di costringersi a raggiungere uno stato meditativo.

La mente di Langdon galleggiava nel vuoto dello spazio. Scrutava nel nulla infinito, cercando qualche punto di riferimento. Non ne trovò.

Buio totale. Silenzio totale. Pace totale.

Non c’era nemmeno la forza di gravità a indicargli quale fosse l’alto.

Il suo corpo non c’era più.

Questa dev’essere la morte.

Il tempo sembrava deformarsi, allungandosi e comprimendosi come se non riuscisse a orientarsi in quel luogo. Langdon aveva perso la nozione di quanto ne fosse passato.

Dieci secondi? Dieci minuti? Dieci giorni?

D’un tratto, però, come violente esplosioni lontane, in una galassia sperduta, cominciarono a materializzarsi i ricordi, che fluttuavano verso di lui come onde d’urto che si propagassero in un nulla immenso.

E di colpo cominciò a ricordare. Le immagini lo avvolsero… vivide e inquietanti. Lui stava guardando un volto coperto di tatuaggi. Due mani forti gli sollevavano la testa e gliela sbattevano a terra.

Uno scoppio di dolore… e poi solo oscurità.

Una luce grigia.

Pulsante.

Una manciata di ricordi. Langdon, ancora semincosciente, veniva trascinato giù, sempre più giù. Il suo aguzzino stava cantando qualcosa.

Verbum significatium… Verbum omnificum… Verbum perdo.

110

Sato, da sola nello studio, era in piedi ad aspettare che la divisione immagini satellitari della CIA esaminasse la sua richiesta. Uno dei privilegi di lavorare nell’area della capitale era la copertura fornita dai satelliti. Con un po’ di fortuna, uno di essi avrebbe potuto essere posizionato favorevolmente e aver scattato delle foto a quella casa nelle ore precedenti… e magari sorpreso un veicolo che si allontanava da lì una mezz’ora prima.

«Mi dispiace, direttore» le disse un tecnico dalla centrale. «Nessuna copertura di queste coordinate, stasera. Vuole fare una richiesta di riposizionamento?»

«No, grazie. Troppo tardi.»

Sato sbuffò, non avendo la minima idea di come fare per scoprire dove fosse andato il loro obiettivo. Si diresse verso l’atrio, dove i suoi uomini avevano già infilato in un sacco il corpo dell’agente Hartmann e lo stavano portando verso l’elicottero. Sato aveva ordinato all’agente Simkins di radunare la squadra e prepararsi per tornare a Langley, ma vide che lui in quel momento era carponi sulla moquette del soggiorno. Sembrava quasi che stesse male.

«Tutto bene?»

Simkins alzò lo sguardo, con una strana espressione in viso. «Ha visto questo?» Indicò la folta moquette.

Sato si avvicinò e la esaminò con attenzione, poi scosse il capo.

«Si inginocchi» le disse Simkins. «Guardi il pelo della moquette.»

Lei obbedì e dopo qualche istante se ne accorse: sembrava che le fibre fossero state schiacciate… appiattite lungo due linee rette come se qualche aggeggio pesante a due ruote fosse stato spinto in quella stanza.

«La cosa davvero strana» spiegò Simkins «è dove vanno a finire i solchi.» Indicò con un dito.

Sato seguì con lo sguardo le leggere linee parallele che attraversavano la moquette del soggiorno. I solchi sembravano sparire dietro un grande quadro che occupava in altezza tutta la parete di fianco al caminetto. Ma che diavolo…?

Simkins si avvicinò al dipinto e cercò di staccarlo dalla parete. Non si mosse. «È fissato» disse facendo scorrere le dita sulla cornice. «Aspetti, qui sotto c’è qualcosa.» I polpastrelli sfiorarono una levetta nel bordo inferiore e si udì un clic.

Sato fece un passo avanti quando Simkins spinse il quadro, che ruotò lentamente sul suo asse centrale, come una porta girevole.

Simkins alzò la torcia elettrica e illuminò lo spazio buio al di là.

Sato socchiuse gli occhi. Ecco fatto.

Alla fine di un breve corridoio c’era una pesante porta di metallo.

Così com’erano venuti, i ricordi che avevano fluttuato nella mente ottenebrata di Langdon se n’erano andati. Nella loro scia turbinava adesso una fila di scintille incandescenti, accompagnate dal solito sussurro distante e misterioso.

Verbum significatium… Verbum omnificum… Verbum perdo…

Come il borbottare monotono di voci in un cantico medievale.

Verbum significatium… Verbum omnificum… Le parole ora rimbalzavano attraverso il vuoto, mentre tutto intorno a lui si succedevano gli echi di voci nuove.

Apocalisse… Franklin… Apocalisse… Verbum… Apocalisse…

Senza alcun preavviso, una campana a lutto cominciò a suonare in lontananza. I rintocchi si fecero via via più frenetici, come se sperassero che Langdon capisse, quasi volessero incitare la sua mente a seguirli.

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